Non sarà la rimozione della Russia dal sistema Swift a far collassare l’economia di Mosca e il sistema di potere di Vladimir Putin. Ma non è detto che l’arma delle sanzioni contro Mosca sia così spuntata: il Paese vive oggi una fase di acuta volatilità economica e la tagliola delle sanzioni che può condizionarne la strategia di Mosca in Ucraina e in generale a livello geostrategico è capace di impattare su un sistema già profondamente reso fragile da anni di tensioni e crisi.

Lo tsunami di lunedì 28 febbraio ne è l’esempio: da un giorno all’altro, i russi hanno visto polverizzarsi un quinto del potere d’acquisto del rublo sui mercati internazionali, dato che la divisa di Mosca è già crollata del 20% fin dalle prime ore delle contrattazioni, e la Banca centrale russa ha immediatamente alzato i tassi di interesse dal 10,5 al 20% (per fare un paragone in Occidente sono poco sopra lo zero) per permettere alla sua valuta la resistenza.

Ma anche la Banca centrale di Mosca ha i suoi bei problemi. In particolare, ancor più del blocco dello Swift, delle sanzioni economiche contro il commercio di Mosca e del congelamento degli asset degli oligarchi filo-Putin, che pure giocano un ruolo importante, la vera “opzione nucleare” è rappresentata dal compimento di una mossa da parte dell’Occidente che aprirebbe le porte al caos: il congelamento degli asset valutari della Banca all’estero. “I 630 miliardi” di dollari di riserve “della banca centrale sono fondamentali per la difesa dell’economia russa – ad esempio per finanziare le importazioni, visto il crollo del rublo – dalle sanzioni imposte dall’Occidente per l’attacco all’Ucraina”, fa notare StartMag, aggiungendo che al 2020 “il 45%. dei suoi asset risultavano ancora negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, in Germania”, Paese nella cui Bundesbank a causa dei legami diretti intrattenuti negli ultimi anni si troverebbe la quota maggiore di risorse.

Non a caso temendo questo assalto nella giornata di lunedì la banca centrale ha vietato agli operatori di vendere titoli a oattori non residenti nel Paese  nel tentativo di proteggere i beni della nazione e evitare una fuga di capitali verso lidi occidentali, come già avvenuto sul medio periodo dopo la Crimea: nei quattro anni seguiti alla crisi del 2014, le fughe di capitali all’estero sono state pari a un controvalore totale di 317 miliardi di dollari.

Per difendersi a un assedio economico inesorabile, già da tempo la Russia sta diversificando le sue forniture. E la mossa per la diversificazione è spesso passata per l’oro, il valore delle cui riserve nei caveau delle autorità russe ha superato per la prima volta negli ultimi anni quello degli asset denominati nella divisa statunitense, segno della duplice volontà di disaccoppiarsi dall’impero economico a stelle e strisce e di ridurre il terreno di impatto delle sanzioni. Il Sole 24 Ore ha scritto che” al 30 giugno l’istituzione custodiva lingotti per 128,5 miliardi di dollari, pari al 22,9% delle riserve: una quota oggi superata soltanto dagli attivi in euro (che rappresentano il 29,5% del totale), mentre quelli in dollari – in forte calo da anni – risultano scesi al 22,2%”. Il congelamento degli asset all’estero, visto in quest’ottica, acquisisce un peso specifico maggiore, dato che taglia di netto l’obiettivo di diversificazione e, con maggior intensità delle altre misure, ribalta la partita sul fronte interno.

Il consenso politico del putinismo, in fin dei conti, si fonda su un assunto fondamentale: risparmiare, una volta per sempre, i russi dalle immagini dell’annus horribilis dell’era post-sovietica, il 1998, quando Mosca finì nel baratro del default, di fronte al drammatico tracollo del rublo e a un’ondata inflattiva che cancellarono i risparmi. E visto che il valore dei risparmi russi in rapporto al Pil scese dal 48% del 1992 al 23% del 1998, è chiaro che il dato di oggi, intermedio e al 29%, lontano dai fasti del putinismo (33% del 2008) renda l’esposizione potenziale della Russia a un crollo di questo tipo notevole.

Una banca centrale con asset congelati, con i tassi alle stelle, con pochi accessi a valute forti, capace di aggirare i pagamenti bloccati nello Swift solo grazie al sostegno del sistema Cips della Cina, ancorato a una valuta non dominante nel mercato globale, con una moneta fortemente deprezzata dovrebbe continuare di stretta in stretta per proteggere l’economia. Tutto questo senza contare la conta materiale del costo quotidiano della guerra ucraina, che sul medio periodo può danneggiare l’economia. E già nel 2014 il combinato disposto tra bassi prezzi del petrolio e sanzioni colpì fortemente l’economia di Mosca. Oggi, con un’inflazione al 9% prima della guerra e una moneta arrivata a perdere il suo potere di spesa del 30% in meno di una settimana, per i cittadini russi può arrivare l’ora più buia in termini di accesso a risorse finanziarie, beni di consumo, investimenti. Ponendo un enorme problema politico.

Quelle file davanti i bancomat

Forse dal Cremlino non si aspettavano un’immagine iniziata ad apparire da domenica nelle principali città. Ossia le code davanti i bancomat. Non una situazione catastrofica, come prospettato dall’estero e dai Paesi occidentali, ma comunque un problema di non poco conto sotto il profilo della popolarità per Putin. Il rischio è che un’ondata di paura coinvolga la popolazione, con tutte le conseguenze del caso.

Per questo adesso da Mosca si prova a correre ai ripari: “Il presidente russo, Vladimir Putin, presiederà una riunione di emergenza con il suo gabinetto e la banca centrale dopo che le sanzioni occidentali al Paese hanno cambiato in modo significativo la realtà economica della Russia”. Parole che sono state espresse da Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino. Una frase che sembra presagire uno scenario molto gravo. E di cui, la stessa presidenza russa, non ne vuole questa volta fare mistero. É forse questa la prima mossa di Putin. Rendere subito noto il problema per mostrare di essere pronto a intervenire. La riunione con il governatore della banca centrale, mentre in Bielorussia sono in corso i negoziati, potrebbe dare a quella stessa popolazione impaurita la sensazione di un governo già a lavoro. Una risposta non solo data ai russi in fila ai bancomat, ma anche agli oligarchi più infastiditi e colpiti dalle sanzioni.

“Le sanzioni occidentali alla Russia sono dure, problematiche – ha proseguito il Cremlino – ma il Paese ha il potenziale necessario per compensarne i danni”. La risposta politica e mediatica è quindi il primo strumento in mano al presidente russo. Da un lato Putin vuole mostrare di avere in mano la situazione, dall’altro ha iniziato, come spesso capita in queste occasioni, a scaricare il peso delle difficoltà economiche a chi ha imposto le sanzioni. Alimentando quel “senso di accerchiamento” posto anche come base politica dell’intervento in Ucraina. Per il momento questo potrebbe bastare al Cremlino ad assicurarsi una relativa tranquillità. I problemi potrebbero sorgere nel medio e nel lungo periodo.

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