Il nuovo anno nel Golfo Persico porta con sé alcuni importanti paradossi: i cittadini del principale paese produttore di petrolio, a partire dal 1 gennaio 2018, hanno assistito all’impennata dei prezzi del carburante fino ad un tetto massimo del 127%; questa è soltanto una delle misure annunciate nei mesi scorsi e che, in tutta l’Arabia Saudita, hanno trovato immediata applicazione. L’aumento del prezzo del carburante è solo un esempio, complessivamente è l’intero potere d’acquisto dei sauditi ad essere sceso a causa dell’introduzione dell’IVA: l’imposta ha fatto il suo esordio nel paese dei Saud con un’aliquota del 5% sui beni di consumo, a partire per l’appunto da benzina e carburante passando anche per il cibo e tutti i generi di prima necessità. Un fatto inedito per un paese che, grazie agli introiti dovuti alla vendita del petrolio, ha finanziato un sistema sociale e di assistenza che ha garantito, oltre ad importanti standard di vita dei cittadini sauditi, anche una certa ‘pax sociale’ essenziale per tenere unita l’intera società. Se per l’FMI l’arrivo dell’IVA è un ‘passo verso la giusta direzione’, non manca chi fa notare che l’introduzione dell’imposta potrebbe essere un cattivo segnale per la tenuta dei conti di Riyadh.
L’obiettivo della diversificazione dell’economia
A dire la verità, la misura adottata in Arabia Saudita non è solo il frutto della programmazione delle autorità locali; l’IVA infatti è stata una soluzione proposta ed approvata in sede di Consiglio di cooperazione del Golfo, il quale raggruppa l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar, il Bahrein, l’Oman ed il Kuwait. Sauditi ed emiratini sono stati i primi a dare seguito all’introduzione dell’imposta, a partire per l’appunto dall’inizio di questo nuovo anno, gli altri quattro paesi hanno tempo fino al 2019 per adeguare il proprio sistema fiscale ed introdurre la tassa sul valore aggiunto; anche ad Abu Dhabi e Dubai dunque cittadini ed imprenditori hanno iniziato a fare i conti con un’IVA fissata al 5%, pur tuttavia è in Arabia Saudita che gli effetti tanto economici quanto politici sono destinati a farsi sentire maggiormente. L’impennata dei prezzi, specie di quelli dei derivati dal petrolio, non è passata inosservata ai consumatori sauditi.
Pur tuttavia, l’introduzione dell’imposta è possibile inquadrarla nel cosiddetto ‘Vision 2030’, ossia il piano voluto a Riyadh per portare alla diversificazione dell’economia e renderla meno ancorata al prezzo del petrolio; secondo Tim Callen, rappresentante del Fondo Monetario Internazionale in Arabia Saudita, la misura introdotta con l’avvento del nuovo anno ‘è un passo importante verso la giusta direzione’ ed è destinata ad ‘avere positive ripercussioni soprattutto nel breve periodo’. I calcoli effettuati dagli economisti dell’istituto con sede a Washington, avrebbero rivelato un ritorno pari al 3% del PIL nelle casse saudite, una vera e propria boccata d’ossigeno dunque utile a supportare il finanziamento del piano Vision 2030, che solo per il 2018 vede l’impiego di una somma superiore ai 250 miliardi di Dollari. Quello del ritrovamento di nuove fonti di entrate appare, per i sauditi, quasi una vera ossessione: lo spettro di una débâcle finanziaria causata dall’abbassamento del prezzo del petrolio, unite alle ingenti somme spese per la guerra nello Yemen, è l’elemento che preoccupa maggiormente i membri di casa Saud.
Il significato politico dell’introduzione dell’Iva
Non mancano però voci nettamente contrarie alla misura che ha visto, dal 1 gennaio scorso, l’introduzione dell’imposta in territorio saudita; da un lato altri economisti hanno bocciato il piano, in quanto l’economia dell’Arabia Saudita viene considerata più sbilanciata verso le esportazioni che non verso i consumi interni ed inoltre l’aumentare dei prezzi potrebbe vanificare, nel medio termine, l’eventuale iniziale apporto positivo dell’IVA. A dichiararlo alla tv qatariota Al Jazeera, è stata l’economista Ellen Wald, autrice di un recente libro che narra la storia dell’Aramco, il colosso di Stato saudita del petrolio prossimo ad essere oggetto della scure dei Saud, con un piano che prevede entro i prossimi anni una vendita del 5% delle azioni della società. Ma è anche sotto il profilo politico che la questione dell’IVA in Arabia Saudita non manca di suscitare interesse; in un paese che ha fatto della mancanza di tassazione un proprio punto di forza, al pari di un’assistenza che ha sempre garantito ogni tipo di bene di prima necessità a prezzi molto bassi, l’introduzione dell’imposta potrebbe creare non pochi malumori e contribuire a svelare alcuni nervi scoperti delle recenti politiche saudite.
I dubbi sulla tenuta dei conti di Riyadh
Lo scorso 5 novembre è stato avviato nel paese un giro di vite per volontà del principe ereditario Mohamed Bin Salman, già di fatto al timone del governo visti i problemi di salute del padre; ufficialmente l’operazione, che ha portato agli arresti di decine tra religiosi, sceicchi ed imprenditori, è stata effettuata per il contrasto alla corruzione. In realtà, oltre a colpire numerosi suoi oppositori, la mossa del principe ereditario appare diretta a reperire nell’immediatezza quanti più soldi possibili: rinchiusi negli alberghi della capitale, secondo un’inchiesta pubblicata sul Daily Mail alcuni degli uomini più ricchi del paese avrebbero subito torture ed abusi per costringerli a cedere buona parte dei propri rispettivi patrimoni. Sempre secondo il quotidiano britannico, questa operazione avrebbe già fruttato quasi 200 miliardi di Dollari; il governo di Riyadh ha smentito le torture, pur tuttavia le confische sarebbero realmente avvenute e giustificate dalla lotta alla corruzione.
È chiaro dunque che l’introduzione dell’IVA, in un paese dove si cerca di reperire disperatamente quanti più miliardi possibili, lancia più di un sospetto circa la tenuta delle casse saudite; negli ultimi anni scelte di politica interna ed estera hanno contribuito a dissanguare i bilanci: il finanziamento alle sigle jihadiste anti Assad in Siria, la guerra nello Yemen sempre più disastrosa sotto il profilo economico e con pochi obiettivi raggiunti sotto quello militare, al pari di una spesa sempre meno sotto controllo hanno portato, dal 2011 ad oggi, a profondi buchi di bilancio tali da non garantire, nei prossimi anni, il livello di assistenza e di welfare assicurato fino ad oggi a quei cittadini che lo scorso lunedì hanno visto schizzare alle stelle i prezzi del carburante. Se dunque a Riyadh si pensa a diversificare l’economia in vista del 2030, nell’immediato la tenuta dei conti preoccupa e non poco la dinastia dei Saud che, tra le altre cose, appare sempre più dilaniata dai contrasti dovuti al giro di vite del principe ereditario. L’introduzione dell’IVA dunque, altro non sarebbe che uno dei tanti segni delle difficoltà saudite trapelate negli ultimi anni.