L’economia cinese è “resiliente, ha un ampio potenziale e ampi margini di manovra e i suoi fondamentali positivi a lungo termine non cambieranno”. Xi Jinping, parlando al vertice Sco di Samarcanda, in Uzbekistan, ha rassicurato la platea e, indirettamente, il mondo intero. La Cina, ha aggiunto il presidente cinese, “darà un forte slancio alla stabilizzazione e alla ripresa dell’economia mondiale e offrirà maggiori opportunità di mercato ad altri Paesi”.
Al netto di qualsiasi rassicurazione, i dati nudi e crudi fotografano una realtà che si discosta da quella immaginata dalle autorità cinesi. Tra i continui – e rigidissimi – lockdown anti Covid, la crisi del mercato immobiliare e le turbolenze internazionali, nel secondo trimestre il Pil della Repubblica Popolare è cresciuto di appena lo 0,4%. L’economia cinese si sta forse indebolendo, dopo essere entrata in un circolo vizioso che metterà a rischio la tenuta del Paese?
Una lettura del genere sarebbe sicuramente troppo estrema. L’economia cinese si è indebolita ma, da qui a mettere in discussione il futuro del Dragone, la distanza è ancora tanta. Certo è che l’anno 2022, nel calendario cinese l’anno della Tigre, teoricamente caratterizzato da cambiamenti inaspettati e sviluppi imprevedibili, intenso e senza mezze misure, può fin qui essere definito l’annus horribilis della Cina. Il governo cinese ha di fatto rinunciato a vari obiettiviche si era prefissato per quest’anno, in primis assistere ad una crescita del Pil pari al 5,5%.
La Zero Covid Policy: lockdown e blocchi
L’attività delle imprese e dei consumatori nella seconda economia più grande del mondo è stata ostacolata innanzitutto dalla Zero Covid Policy sposata da Pechino, una politica di prevenzione sanitaria che ha generato lunghi blocchi in dozzine di città, costringendo molte attività a chiudere e milioni di cittadini a restare nelle proprie abitazioni. Ancora oggi i leader cinesi sono restii a invertire la politica, forse – è una delle ipotesi in circolazione – per paura di scatenare una crisi più grande.
“La Cina non ha mai effettivamente convissuto con il Covid come il resto del mondo. Quindi ci sarebbe un caos economico se il virus dovesse improvvisamente dilaniare il Paese”, ha dichiarato Jacob Gunter, analista senior presso il Mercator Institute for China Studies (MERICS) a DW.
La crisi immobiliare
La Cina deve poi affrontare la crisi immobiliare, o quanto meno la sua ombra. La recente repressione del governo sui debiti dei promotori immobiliari ha infatti innescato un crollo immobiliare spingendo uno dei più grandi costruttori del Paese, Evergrande, sull’orlo del fallimento. Chi aveva acquistato immobili ha smesso di pagare mutui sugli appartamenti incompiuti, mentre i prestiti bancari per l’acquisto delle case sono diminuiti per la prima volta in un decennio.
Nel secondo trimestre dell’anno, la quantità di superficie abitabile nel Paese è diminuità di quasi la metà rispetto all’anno precedente, a conferma dell’enorme rallentamento nell’attività di costruzione. Le vendite di case sono invece diminuite del 40%. Questo terremoto ha danneggiato tutti: governo, imprese e privati. Il motivo è semplice, visto che il calo dei prezzi delle attività dell’immobiliare ha colpito un settore, quello immobiliare appunto, che vale da solo quasi il 30% del pil cinese.
La disoccupazione in crescita
A luglio, la disoccupazione giovanile in Cina ha raggiunto il 19,9%, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Ufficio nazionale di statistica del Paese. Si tratta del tasso più alto da quando Pechino ha iniziato a pubblicare l’indice nel gennaio 2018. In quel periodo, il tasso era pari al 9,6%. Altri confronto sul quale vale la pena riflettere: nel 1999, meno di 1 milione di persone si sono laureate in un college in Cina. Quest’anno, un record di 10,7 milioni di nuovi laureati è entrato nel mercato del lavoro cinese. Il problema più grande è che molti di loro avranno serie difficoltà a trovare un lavoro.
Clima estremo
Se alla disoccupazione giovanile aggiungiamo anche il clima estremo, ci troviamo di fronte ad una sorta di tempesta perfetta. Negli ultimi mesi, infatti, la Cina è stata colpita da ondate di caldo record e siccità. A detta degli esperti, questo fenomeno combinato ha il potenziale per minacciare la sicurezza alimentare, energetica ed economica del Paese.
Il clima estremo, che ha colpito più duramente la provincia sudoccidentale del Sichuan, è durato più di 70 giorni, facendo segnare la peggiore ondata di caldo del Paese dall’inizio della registrazione, avvenuta nel 1961. Le temperature del Sichuan hanno superato i 43 gradi Celsius, mentre a Beibei le temperature sono salite fino a 45 gradi. A rischio sono la produzione agricola, la sicurezza energetica e l’economia, nonché il generale senso di stabilità che ha accompagnato l’ascesa economica della Cina.
Previsioni mancate e rimedi
La Cina dovrà accontentarsi di una crescita del Pil di circa il 3,3%. Nel secondo trimestre la crescita su base annua è scesa allo 0,4%, nel peggior risultato dal 2020. Altre stime sono evaporate come neve al sole: le vendite al dettaglio si sono fermate al 2,7% (contro le previsioni del 5%), gli investimenti fissi al 5,7% (e non al 6,2%), la produzione industriale al 3,8% (e non al 4,3%). Bene, invece, le esportazioni. Nonostante la Cina non sia più la fabbrica del mondo, l’export è aumentato del 18%, contro le aspettative degli esperti che ipotizzavano un aumento del 15%.
Come fare per dare una scossa all’economia? Puntare sulle infrastrutture. Secondo quanto riportato da Bloomberg, la Cina ha intenzione di investire in megaprogetti green che, da qui ai prossimi anni, comprenderanno treni ad alta velocità, dighe, canali d’acqua e città verdi. Per quanto riguarda le cifre sul tavolo, si parla di qualcosa come mille miliardi di dollari di fondi governativi.
Giusto per fare qualche esempio, il South-North Water Transfer è un tunnel che dovrebbe portare l’acqua dalle Tre Gole, sul Fiume Azzurro, allo Hubei, lungo un percorso di 200 chilometri. I lavori sono iniziati a luglio. Da menzionare, poi, la città ecologica di Songya, il parco industriale Qingdao Integrated Circuit Park, pensato per supportare il settore dei semiconduttori, lo sviluppo di ferrovie, strade e autostrade – con l’obiettivo di portare il sistema ferroviario da 40 a 70mila chilometri e costruire 58mila chilometri di superstrade entro il 2035 – e la costruzione di impianti solari ed eolici. Nel breve termine questi progetti dovrebbero portare occupazione e raffreddare gli animi. Nel lungo periodo, spera Pechino, trasformare in meglio il Paese.