Spietato come un cecchino è arrivato il report dell’agenzia di rating americana Fitch. Si tratta dell’outlook credit del terzo trimestre del 2017, un’analisi che comprende al suo interno giudizi sull’andamento del sistema bancario europeo. Un’altra valutazione, che insieme a quella dell’OCSE, smentisce il discorso ultra ottimistico pronunciato la scorsa settimana da Jean Claude Juncker sullo stato di salute dell’Europa. I timidi segnali di crescita economica europea hanno infatti entusiasmato fin troppo gli esponenti politici di Bruxelles. La realtà rimane invece molto instabile e i difetti congeniti del sistema economico europeo sembrano molto difficili da superare.

Le banche europee sono piene di crediti deteriorati

“Il focus del regolatore sulla riduzione degli stock di Npl potrebbe concretizzarsi in nuove esigenze di capitale. La massa di non performing loans (npl) continua a pesare in maniera consistente sui bilanci di alcune banche europee, specialmente in Italia”, così si è espressa in maniera brutale l’agenzia di rating statunitense. Proviamo ora a tradurre per i profani il gergo ermetico dell’economia. Fitch sta dicendo che il sistema bancario europeo, in particolare quello italiano, possiede ancora nella propria pancia una massa notevole di questi npl, ovvero i non performing loans.

Di cosa si tratta? I non performing loans sono crediti che la banca ha nei confronti dei suoi clienti, che molto probabilmente non verranno restituiti in parte o del tutto. Secondo Fitch le banche europee potrebbero dunque aver bisogno di ulteriori aumenti di capitale, vista l’alta volatilità di questi crediti. In sostanza se questa massa di debitori nei confronti delle banche non ripaga quanto preso a prestito, lo stesso istituto dovrà ricorrere ad una manovra di aumento del capitale. La stessa può consistere o in un investimento da parte del consiglio di amministrazione, oppure con intervento pubblico.

Le soluzioni suggerite da Fitch

In realtà, come riportato da MilanoFinanza, un rapporto dell’Abi uscito da poco rivelava, come, in Europa, i crediti deteriorati (ovvero i non performing loans) siano calati. In Italia per esempio si sono ridotti di ben 6 miliardi di euro dallo scorso giugno. La cifra rimane comunque alta, 65,843 miliardi, ma il trend è in discesa. Il giudizio severo di Fitch sembrerebbe dunque essere più un avvertimento nei confronti delle istituzioni politiche dell’Ue. I recenti casi di crolli bancari come Monte dei Paschi di Siena in Italia e il Banco Popolare Santander in Spagna hanno spinto l’agenzia di rating a esercitare una certa pressione su Bruxelles.

Quali sono però le soluzioni prospettate da Fitch? La prima, come già detto, riguarda  un aumento consistente del capitale bancario tramite fondi pubblici. La seconda soluzione per Fitch consisterebbe invece nella graduale fusione dei gruppi bancari così da rendere più omogeneo il sistema e meno soggetto a rischi. Se l’analisi dell’agenzia parte da dati reali, ne omette, in parte, altri altrettanto rilevanti.

Fitch si dimentica del rischio legato al mercato dei derivati

I rischi bancari europei non arrivano solo infatti da crediti non ripagati, ma anche dalle attività speculative ad alto rischio condotte dalle stesse banche. Secondo un rapporto della Banca d’Italia risalente all’aprile 2016 l’intero volume d’affari che lega le banche italiane ai derivati si aggira intorno ai 657 miliardi di dollari. Annuali? No, mensili. Anche in questo caso il trend è in diminuzione rispetto ai 900 e passa miliardi del 2013.

Tuttavia la natura altamente rischiosa del mercato dei derivati e la mole di euro investiti dalle banche dovrebbe far riflettere su quali siano i reali rischi sistemici. Su questo portale è già stato scritto come la stessa Deutsche Bank sia seduta su una bomba esplosiva di derivati. Se Ficth omette una parte rilevante dei problemi bancari europei, dall’altra anche le soluzioni proposte lasciano a desiderare.

I suggerimenti di Fitch non hanno mai funzionato

La strategia di continui aumenti di capitale porta infatti a soluzioni sul breve termine, ma non a risoluzione definitive sul lungo periodo. L’esempio italiano è emblematico. Il Fondo Atlante non è infatti stato sufficiente per la risoluzione delle crisi bancarie. si è dovuto così ricorrere al Fondo Atlante 2. Un gioco di scatole cinesi che sembra essere senza fine. D’altronde l’aumento di capitale non accompagnato da una regolamentazione che vincoli le banche a investire i soldi nell’economia reale è risultato inutile. D’altra parte se la fusione dei vari istituti può effettivamente portare ad una maggiore sicurezza sistemica, c’è il rischio concreto che aumenti sempre più la distanza tra banca e piccolo risparmiatore.

Anche in questo caso l’esempio italiano può venirci in aiuto. L’istituto del banco popolare, un tempo diffusissimo in Italia, era nato con l’intenzione di garantire governance cooperativa, impegno sociale a forte radicamento sul territorio. Insomma l’istituto ideale per i piccoli risparmiatori e gli imprenditori di piccole e medie imprese. I processi di fusione tra i vari banchi popolari hanno portato ad un allontanamento della banca rispetto al cliente, senza però eliminare i rischi di insolvenza. Come i recenti casi di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza hanno dimostrato. Il sistema bancario europeo è dunque tutt’altro che fuori pericolo e le soluzioni prospettate non sembrano essere all’altezza. 

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