Angela Merkel rimane sovrana incontrastata del continente europeo, e l’ultimo round negoziale tra Eurogruppo e Consiglio Europeo lo testimonia: nell’Unione non si muove foglia senza l’approvazione della Cancelliera che, forte dell’innegabile successo tedesco nella gestione del coronavirus e di un imponente stimolo economico, ha potuto dare le carte nel negoziato con gli altri leader europei, conquistando un successo a tutto campo.
L’esito del negoziato, infatti, sembra fornire un assist alla Merkel per guadagnare consensi interni in vista di un sempre meno improbabile quinto mandato. Le tre istituzioni mobilitate a giugno per mettere sul campo oltre 500 miliardi di euro contro la crisi saranno la Commissione europea, il Meccanismo europeo di stabilità e la Banca europea degli investimenti. Tre istituzioni, en passant, amministrate da altrettanti tedeschi. Rispettivamente l’ex ministro della Difesa Ursula von der Leyen, il super-burocrate Klaus Regling e l’esponente liberale Werner Hoyer.
Risulta rinviato al 2021 il completamento del processo di costruzione del Recovery Fund, su cui Francia, Spagna e Italia puntavano per avere a disposizione un alternativo “bazooka” europeo, in grado di evitare danni sistemici e di introdurre, in una versione comunque indiretta, forme di mutualizzazione del debito. Lo ha ufficializzato la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jourova. Così facendo, però, il Recovery Fund destinato a divenire l’arsenale economico più consistente mai messo in campo dall’Unione rischia di perdere il carattere di misura di risposta ad emergenze sistemiche come la pandemia in atto.
La Germania, incorporando anche le ben più radicali pressioni dell’Olanda, “falco” tra i falchi d’Europa, ma dimostrando notevole pragmaticità non ha usato l’arma del veto sul negoziato sul Recovery Fund. Angela Merkel ha dato l’assenso a un documento fortemente depotenziato, nel quale il rinvio al 2021 è in primo luogo pensato come un assist alla sua Cdu in vista delle elezioni che nell’autunno dell’anno prossimo delineeranno il nuovo Bundestag e ai cui nastri di partenza la Cancelliera appare sempre più tentata a schierarsi. Il pensiero della Merkel è che limitare a tre strumenti, due dei quali (fondo Sure della Commissione e Mes) legati a forti condizionalità, l’aiuto ai Paesi più a rischio possa preservare la posizione finanziaria di Berlino in favore dell’imponente manovra anticrisi sviluppata sul fronte interno.
La realtà dei fatti lascia però temere che da qui al 2021 il quadro europeo possa, per la debolezza della risposta, eccessivamente deteriorarsi: non sarebbe la prima volta che la Germania usa la sua influenza e il suo peso per condizionare le dinamiche comunitarie a tutto vantaggio del suo utile personale. In questo caso, però, a Berlino servirebbe una strategia più lungimirante, che non abbia come orizzonte esclusivo l’egemonia sul continente. “Quando affermiamo che la Germania è diventata una “potenza civile”, come anche il Giappone, ciò significa che di fatto ha rinunciato alle velleità egemoniche di vecchio stampo, ottocentesco, nazionalista, ma purtroppo ciò non significata aver totalmente annullato la sfera conflittuale”, ha dichiarato un accademico esperto di Germania come Salvatore Santangelo, “nella globalizzazione, la guerra e il conflitto si manifestano con nuove modalità, anche sul versante economico e culturale”. E per la Germania l’agone europeo è sempre stato un terreno di battaglia, in cui portare avanti un gioco considerato a somma zero: vincere la battaglia delle idee ha potuto consentire a Berlino di far introiettare i suoi dogmi (deflazione salariale, pareggio di bilancio e così via) anche nel resto dei Paesi dell’Unione, rendendoli di fatto meno competitivi e vettori della sua ascesa nel Vecchio Continente.
Oggi, il gioco è simile: la Germania mira a riprendersi più velocemente del resto d’Europa per poi poter far pesare un’accresciuta influenza sull’Unione. Il rischio di scottarsi giocando col fuoco è però, in questo caso, notevole. Nessuno più di una potenza commerciale come Berlino dovrebbe sapere che la crisi del coronavirus non è asimmetrica, ma impatta tutta Europa. Dovrebbe esser logico, di conseguenza, favorire e non frenare uno sviluppo integrato: il rischio, per Berlino, è che apparire come l’unico vincitore in Europa possa portare a un crollo totale dell’autorevolezza del Paese nell’Unione e che la crisi alimenti spinte centrifughe e “rivolte” contro la linea tedesca nell’Unione che andrebbero a tutto svantaggio di una potenza in continua ricerca della stabilità come Berlino. Vista come una vittoria oggi, domani la scelta di rinviare il sostegno europeo del Recovery Fund al 2021 potrebbe apparire come una rovinosa sconfitta. Nelle relazioni internazionali vincere i negoziati è un ottimo risultato, stravincere può creare gravi problemi.