Dividendi per la cacciata della Lega dal governo, più rappresentanza ai tavoli fondamentali dell’Unione, il sogno di un “superdeficit” che desse ai giallorossi ciò che ai gialloverdi era riuscito solo in parte, cioè una parziale rottura dei vincoli austeritari, per qualcuno perfino un ritrovato clima di concordia politica interno. Il libro dei sogni delle aspettative mediatiche e politiche legate al governo M5S-Pd è stato fin dagli inizi ben colorito e ricco di sfumature e wishful thinkings. Sensazioni che negavano la prosaica realtà, ovvero che il governo Conte II è nato per ragioni più tattiche che strategiche, per ragioni di politica interna legate al desiderio di pentastellati e dem di non franare in caso di nuove elezioni e, soprattutto, per il suicidio agostano di Matteo Salvini, tradito dall’assurda scelta di aprire nel pieno dell’estate la crisi di governo.

Anche il più importante risultato raggiunto in Europa, la nomina di Paolo Gentiloni a commissario agli Affari Economici, è stato immediatamente dimezzato dal commissariamento dell’ex premier ad opera del superfalco lettone del rigore Valdis Dombrovskis. La montagna ha partorito il topolino, ovvero un Nadef che riporta un deficit del 2,2% in larga parte destinato al risanamento delle gravose clausole Iva (23 miliardi di euro) e sotto il giudizio della censura di Dombrovskis, coordinatore dei commissari deputati alle politiche economiche.

Se anche il premier Giuseppe Conte avesse voluto far pesare nei tavoli europei l’acquisito standing istituzionale e l’autorevolezza dimostrata nelle recenti trattative su deficit e debito tale azione sarebbe stata condizionata dalla carenza di politiche di lungo respiro per quanto riguarda l’Europa, l’economia e la modifica di regole ritenute troppo stringenti. In particolare, la presenza di Gentiloni nel ruolo di commissario Ue è solo la punta apicale del grande condizionamento esercitato dal Partito democratico come “guardiano” dell’ortodossia europea in seno all’esecutivo.

Francesco Verderami, articolista e retroscenista del Corriere della Sera, ha coniato l’espressione di “troika italiana” per definire l’asse tra Gentiloni, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e il ministro degli Affari europei Enzo Amendola, tutti e tre esponenti dell’establishment Pd, le cui prime dichiarazioni istituzionali lasciano pochi dubbi circa la reale volontà del nuovo governo di imporre una seria discontinuità in Europa fondata su politiche economiche svincolate dall’austerità e dirette alla crescita. “Primo obiettivo la riduzione del debito pubblico” dei Paesi europei attraverso il rispetto rigoroso del Patto di Stabilità, ha affermato Gentiloni nell’audizione all’Europarlamento da lui agevolmente superata. Il trio Gentiloni-Gualtieri-Amendola avrebbe, secondo Verderami, frenato ogni tentativo di Conte di alzare l’asticella verso una manovra coraggiosa con un fuoco di fila di dichiarazioni paragonabili a quelle dell’ex presidente Pd.

Ha detto Gualtieri, che non ha saputo proporre di meglio di un’emissione sovrana di bond “verdi” tanto politicamente corretti quanto potenzialmente inefficaci: “forzare la mano in questa fase non conviene, perché ci sarebbe il rischio di recuperare da una parte ma di perdere dall’altra con un aumento dello spread”. Ancora più chiaro Amendola al Foglio: “L’Europa non è un bancomat, semmai è una polizza assicurativa. Non esiste una spectre europea che ci vuole male, quel che va evitato è alimentare gli scontri con l’ Unione europea per poi ritrovarsi con rischi di procedure di infrazione”. Non si è fatto mancare nemmeno il sottosegretario dem di Gualtieri, il senatore Pd Antonio Misiani sentito dallo stesso Corriere: “La Commissione europea ha premiato il credito di cui gode il ministro Gualtieri”.

Agli esponenti del Pd, in questo campo, si può obiettare tutto fuorché una notevole chiarezza di intenti e onestà intellettuale. L’attestazione dell’elogio alle regole dell’austerità, al rigore e all’ortodossia europeista vegliata dalla troika del Nazareno è sotto gli occhi di tutti, nero su bianco, incontestabile. Ma come confrontare queste dichiarazioni con le roboanti uscite dei loro compagni di partito, del segretario Nicola Zingaretti e degli alleati pentastellati sull’inizio di una nuova era, sul prossimo cambiamento dello standing italiano in Europa, su una fase di rinnovato sviluppo? Come metterle a fianco con l’analogo entusiasmo di un’ampia parte della stampa italiana? Qui si va su un terreno notevolmente scivoloso. Il governo gialloverde è imploso sotto il peso di contraddizioni e dichiarazioni ad effetto deleterie, ma sul lungo termine anche per quello giallorosso il destino potrebbe essere lo stesso: la troika Pd castra qualsiasi prospettiva di rinnovamento o reale cambiamento. Gli effetti potrebbero pagarli molto presto decine di milioni di italiani, assieme alla posizione economica del nostro Paese, già precaria e instabile.