L’Uzbekistan punta sul nucleare per superare la tradizionale dipendenza del Paese dagli idrocarburi. Nello spazio ex sovietico dell’Asia centrale l’Uzbekistan si sta caratterizzando come uno dei Paesi più dinamici e interessati a rafforzare le sue prerogative politiche ed economiche. E per farlo Tashkent ritiene prioritario un completo ammodernamento dell’infrastruttura energetica interna retaggio, in larga misura, dell’epoca sovietica.

All’economia uzbeka non basta più la rendita energetica dovuta dall’esportazione di idrocarburi, ma serve anche un rafforzamento delle capacità di generazione interne per venire incontro allo sviluppo economico, industriale e demografico di un Paese che con i suoi 33 milioni di abitanti è già primo per popolazione tra le repubbliche dell’Asia centrale.

Partner privilegiato di questo processo è la Russia. Mosca, principalmente attraverso Rosatom, sta trasformando il sostegno ai programmi nucleari di numerosi Paesi in via di sviluppo in un nuovo “campione nazionale” della sua politica economica, ampiamente dipendente su un ristretto novero di settori in cui il Paese riesce ad avere elevate capacità produttive ed esportatrici: quello energetico, ovviamente, ma anche il mercato delle armi e quello agroalimentare.

La visita del presidente russo Vladimir Putin in Uzbekistan dell’ottobre 2018 e il suo incontro con l’omologo Shavkat] Mirziyoyev ha dato il calcio d’inizio alla definizione di un accordo da 11 miliardi di dollari tra Tashkent e Rosatom per la costruzione dei primi due reattori del Paese. Sergej Lavrov, ministro degli Esteri di Mosca, ha ulteriormente definito l’accordo a maggio, inserendolo nel quadro di un piano decennale energetico del governo di Tashkent che prevede, come riportato da Eurasianet, il raggiungimento di una generazione di 117 miliardi di kilowattora entro il 2030 sfruttando le potenzialità del nucleare, destinato a entrare in azione dal 2028. Obiettivo ambizioso, se si pensa che oggi il Paese produce solo 67 miliardi di Kw/h, ma che l’Uzbekistan intende perseguire.

Sviluppando il nucleare l’Uzbekistan potrebbe dunque conseguire una serie di importanti risultati strategici. In primo luogo, come detto, riequilibrare la produzione interna di energia. In secondo luogo, destinare alle redditizie esportazioni di gas e petrolio la produzione interna in parte ancora destinata alla generazione elettrica, a cui il nucleare potrebbe supplire ampiamente coprendo il 15% della produzione nazionale. Questo arricchirebbe il “tesoretto” di Tashkent per nuovi investimenti interni e politiche per lo sviluppo. In terzo luogo, l’Uzbekistan mira allo strategico obiettivo di rispettare gli accordi di Parigi decapitando le sue emissioni di anidride carbonica: necessità politica di Mirziyovev per presentare il maggior rispetto della comunità internazionale da parte del Paese dopo la fine dell’era del regime di Islom Karimov.

La Russia rafforzerebbe invece le sue potenzialità come produttrice di reattori avanzati e disponibili agli investimenti dei Paesi in via di sviluppo. Rosatom ha in campo commesse superiori ai 130 miliardi di dollari che fanno le fortune economiche e politiche del Cremlino. L’Uzbekistan col nucleare avrà anche la possibilità di sfruttare le sue ampie riserve di uranio, di cui è il settimo produttore al mondo. Il sito del primo impianto è stato individuato vicino al Lago Tuzkan, nell’Est del Paese, in una regione scarsamente popolata (il territorio ad esso circostante ha l’emblematico nome di “Steppa della fame”) ma strategicamente importante per le disponibilità idriche. Dopo l’ingresso di Rosatom, in futuro anche la Francia potrebbe mostrare interesse per l’Uzbekistan, che ha siglato un accordo col colosso transalpino Orano per cercare uranio sul suo territorio: per i prossimi passi del nucleare uzbeko, una sfida tra tecnologia russa e tecnologia francese nel contesto della partita globale del nucleare non è da escludere.





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