Per la Russia rappresenta un’imprescindibile ciambella di salvataggio da indossare per evitare il soffocamento economico, frutto del binomio formato dall’impatto delle sanzioni occidentali e dalle ingenti spese necessarie per sostenere la guerra in Ucraina.

Per la Cina è qualcosa di più: è una leva geopolitica da attivare, ora più che mai, per picconare il dominio internazionale del dollaro, la valuta degli Stati Uniti dell’ordine globale a trazione occidentale, e inaugurare una concreta internazionalizzazione della propria moneta nazionale.

Stiamo parlando dello yuan, o renminbi, la valuta cinese ufficiale emessa dalla Banca Popolare della Cina. E per la quale Pechino sta lavorando da anni per incrementarne l’utilizzo sia come strumento di pagamento negli scambi commerciali internazionali che come riserva valutaria.

Ad oggi, infatti, la maggior parte degli scambi commerciali tra Paesi viene effettuato mediante il dollaro. L’intenzione del Dragone consiste nel riequilibrare l’estrema sotto rappresentazione dello yuan – impiegato in circa il 2-3% delle transazioni – all’interno del sistema internazionale, in modo tale da consentire alla “moneta del popolo” di incarnare il peso commerciale della nazione cinese.

Ebbene, nel loro ultimo incontro, Vladimir Putin e Xi Jinping hanno arricchito la partnership sino-russa con altri 14 accordi di cooperazione, in aggiunta ai numerosi già stipulati nel corso dei mesi (e degli anni) passati. Ma i due leader hanno parlato anche di valute. “La Russia è favorevole all’uso della yuan negli accordi con i Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina“, ha dichiarato il presidente russo, sposando, di fatto, il progetto cinese per completare l’aggiramento del dollaro.

Russia, Cina e yuan

La sostituzione del dollaro nelle transazioni internazionali è vista dalla Russia come una fondamentale conditio sine qua non per realizzare la costruzione del cosiddetto “sistema multipolare” rispetto a quello “unipolare” guidato dagli Stati Uniti, che proprio sulla banconota verde poggiano gran parte del loro potere.

Putin ha fatto notare che, già adesso, i due terzi delle transazioni tra Russia e Cina è regolata in rubli e yuan. Mosca si è tuttavia impegnata ad impiegare la moneta cinese anche nei pagamenti con Paesi asiatici, africani e latinoamericani. Ricordiamo, infatti, che la Federazione Russa continua ad intrattenere rapporti commerciali con diversi Paesi in via di sviluppo e del cosiddetto “sud del mondo”, ovvero con quella comunità di governi della quale la Cina intende diventare portabandiera.

La sponda del Cremlino al Dragone non dovrebbe dunque essere sottostimata o ignorata. Se non altro perché è propedeutica all’attuazione del piano di Pechino. Il cui fine ultimo coincide con la creazione di un ordine geopolitico mondiale, senza più l’Occidente al centro, e quindi ben diverso dall’architettura diplomatica instauratasi al termine della Seconda Guerra Mondiale.

Il ruolo di Mosca

Un simile mosaico, tuttavia, non può essere completato soltanto stringendo accordi commerciali e patti; serve anche uno scheletro economico-finanziario. Ed è qui che è entrata in gioco la Russia, esclusa dal sistema finanziario internazionale dominato dal dollaro dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Lo yuan cinese ha occupato con piacere il vuoto generatosi nel cuore di Mosca, al punto che, in appena nove mesi, tra i due Paesi la quota di transazioni basate sulla moneta cinese è passata dallo 0,4% al 14%. Lo scorso settembre, due banche russe hanno iniziato ad fornire prestiti in yuan e ad utilizzarle il renminbi anche per i trasferimenti di denaro al posto dello SWIFT.

Reuters ha poi spiegato che Mosca può utilizzare le risorse del National Wealth Fund (NWF), il proprio fondo sovrano – istituito per usare parte delle entrate petrolifere per finanziare le pensioni dei cittadini – per finanziare le proprie esigenze di bilancio. Il primo marzo, il NWF deteneva 147 miliardi di dollari, in calo del 23% rispetto al picco registrato nell’agosto 2021.

Mosca ha aumentato la quota della valuta cinese nelle partecipazioni della NWF al 60%, mentre un disegno di legge consentirebbe al governo di aumentarla fino all’80%. Il ministero delle Finanze russo ha inoltre affermato che azzererà la quota di euro e dollari nel suddetto fondo, a partire da quest’anno, lasciando solo oro, yuan cinesi e rubli. Allora, considerando, come detto, che le vendite delle riserve contenute nel NWF hanno contribuito a tenere a galla il Cremlino, è lecito supporre che per la Russia lo yuan diventerà sempre più importante.

Un messaggio all’Occidente

Il risultato più evidente delle tendenze sopra sintetizzate è che la Russia è diventata il quarto più grande centro commerciale offshore in yuan, al di fuori di Hong Kong. E che i cittadini russi , quando viaggiano all’estero, possono utilizzare il sistema UnionPay cinese se vogliono pagare con le carte.

Ma c’è un altro, ben più importante, risultato da analizzare: se per Mosca aggrapparsi allo Yuan è fondamentale per evitare qualsiasi collasso economico-finanziario, per Pechino sostenere il Cremlino in questi termini equivale ad accelerare l’internazionalizzazione dello yuan, e quindi ad intensificare la guerra valutaria con gli Stati Uniti. Paradossalmente, nel lungo periodo potrà risultare più decisivo e pericoloso il supporto finanziario che la Cina sta offrendo alla Russia, che non ipotetici invii di aiuti militari.

Bloomberg ha scritto che, in seguito della guerra in Ucraina e alle sanzioni occidentali contro la Russia, lo yuan si è improvvisamente trovato davanti ad una prateria per diventare la valuta regionale dominante nell’Eurasia settentrionale. In futuro, inoltre, gli scambi commerciali per l’export di risorse energetiche tra la Russia, che ha accettato di usare lo yuan per i pagamenti internazionali, e Paesi di America Latina, Africa, Medio Oriente e Sud Est asiatico, aiuteranno ulteriormente la valuta cinese a circolare oltre la Muraglia, rosicchiando piccoli spazi di manovra al dollaro.

Un rischio da non sottovalutare

La crescita del renminbi è insomma alimentata dal commercio e dall’integrazione economica, soprattutto in Asia, ma anche dalla maggiore disponibilità dei partner commerciali della Cina di impiegare lo yuan anziché i dollari.

La decisione russa di farsi alfiere e megafono dell’internazionalizzazione della valuta cinese potrebbe rivelarsi un rischio da non sottovalutare per l’Occidente.

Difficilmente assisteremo alla detronizzazione globale del dollaro, ma potremo comunque assistere alla formazione graduale di molteplici architetture finanziarie regionali incentrate sullo yuan, e all’ulteriore balcanizzazione del sistema finanziario mondiale.

Come se non bastasse, uno yuan riconosciuto e usato come moneta di scambio da numerosi Paesi doterebbe la Cina di uno strumento di potere geoeconomico. Le sanzioni economiche: lo stesso strumento che attualmente è nelle mani degli Stati Uniti forti del massiccio impiego mondiale del dollaro.

In tutto questo, la Russia sarà spinta sempre di più nell’orbita finanziaria cinese. Anche perché lo yuan è una valuta controllata, il cui livello è determinato dagli interessi economici e politici di Pechino. Le riserve e i pagamenti russi saranno sempre più influenzati dalle politiche del Partito Comunista Cinese e della Banca popolare cinese. Nel caso in cui le relazioni tra i due Paesi dovessero deteriorarsi, Mosca potrebbe dover affrontare perdite di riserve e interruzioni dei pagamenti. Ma al momento nessuno al Cremlino sembra volerci pensare.

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