“Vogliamo raccontare i drammi senza fine del Congo, una terra tormentata da gruppi armati anche di matrice islamista, depauperata dallo sfruttamento delle risorse minerarie, travolta da epidemie e da sfide che riguardano tutti noi. Vogliamo farlo attraverso lo sguardo di chi da anni si occupa di questo Paese: il fotografo Marco Gualazzini e il giornalista Daniele Bellocchio.
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Il Congo è messo ai margini del sistema economico globale e vittima delle logiche della governance internazionale e in questi anni c’è il rischio che la spirale del debito faccia sprofondare il Paese ancora di più. Non parliamo solo del debito pubblico, formalmente pari a poco più del 15% del Pil del Paese, ma piuttosto del complesso sistema fatto da debito “oscuro”, legato alla dipendenza di fatto dell’economia nazionale dal sistema esterno, da alienazione degli asset strategici e da una totale esclusione di Kinshasa dalle dinamiche dominanti del mercato globale.

Secondo il report dedicato alla Repubblica Democratica del Congo nel quadro del Low-Income Country Debt Sustainability Framework della Banca Mondiale Kinshasa è segnalata come una nazione a bassa capacità di assorbimento di shock sistemici e, per quanto nominalmente inferiore a quello del 2015, il debito è gravato principalmente dalla fragilità intrinseca della nazione. La debolissima statualità congolese, l’assenza di risorse in valuta estera nel quadro della banca centrale nazionale, l’elevato numero di prestiti su concessione emessi da Kinshasa e la difficoltà del Paese nel gestire le sue stesse risorse interne fanno sì che il Paese vada incontro a diverse problematiche.

Nel 2021 si prevede una riduzione del deficit dal 4,8% al 4,1% del Pil, ma a maggior ragione la situazione preoccupa perché esso è legato a un calo della capacità di spesa del governo centrale di Felix Tshisekedi, il cui budget è assorbito in larga parte da spesa pubblica improduttiva, consta per il 57% di costi di gestione del personale civile e militare; dai vaccini alle infrastrutture, è principalmente il credito estero e l’intervento di donazioni internazionali a sopperire alla carenza di spese in conto capitale. La cooperazione internazionale offre un sollievo indiretto alle finanze congolesi, ma al contempo la ridotta capacità di controllo sui proventi degli asset strategici e la pressoché nulla potenzialità della raccolta fiscale, pari solo all’8% del Pil, segnalano a tutti gli effetti la presenza di una carenza sistemica.

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CAUSALE: Reportage Congo
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Nel 2020 la pandemia ha sottolineato tutte le criticità del sistema congolese, forte di risorse di valuta pregiata per un solo mese di disponibilità e colpito da un deprezzamento del franco del 15%, contenuto solo dall’ingresso di investimenti diretti al sistema minerario, dunque paradossalmente al mondo che sta contribuendo a rendere sempre più difficile per il Congo una vera emancipazione. L’IMF Rapid Credit Facility ha in parte contribuito a lenire alcune delle più problematiche questioni di carenza valutaria nel marzo 2020, ma il contesto resta estremamente problematico. Da sottolineare, a inizio 2021, l’ambiguo comportamento della Cina: Pechino ha eliminato i debiti della Repubblica Democratica del Congo per un valore di 28 milioni di dollari, ha promesso sostegno finanziario per 17 milioni di dollari e, per bocca del ministro degli Esteri Wang Yi, di inserire Kinsasha nel programma da 11 miliardi di dollari (9 miliardi di euro) in prestiti per vaccini ai Paesi in via di sviluppo, così da aiutare il Paese a superare l’impatto del coronavirus, ma al contempo risulta il principale investitore per il controllo degli asset minerari del Congo, dal cobalto al petrolio. In ogni caso, dal 2019, la Banca Centrale del Congo ha approvato l’ingresso della moneta cinese, lo yuan, nel proprio sistema di circolazione di valuta estera, a testimonianza del fatto che è in larga parte la sfiducia verso il tradizionale sistema economico occidentale a spingere il fragile gigante africano nelle braccia di Pechino.

In quest’ottica va sottolineata anche la natura complessa di qualsiasi valutazione che implichi un giudizio macroeconomico “ordinario” per un Paese dilaniato da conflitti, dalla frammentazione dello Stato, da attività criminali e dalla presenza di enclavi non governabili al suo interno. E dato che in tutta l’Africa, come ha scritto Oltremare, “molti dei Paesi in “debt distress” o ad alto rischio sono fortemente esposti proprio rispetto a Pechino”, e che dopo Gibuti (57%) e Angola (49%) la Repubblica del Congo (45% del debito in mano cinese) è il Paese proporzionalmente più esposto verso Pechino questo aumenta le incertezze. Tanto che l’alternativa, per Kinsasha, non è delle migliori: rivolgersi alle procedure di ristrutturazione del debito pubblico del Fondo Monetario Internazionale e dunque ai programmi “lacrime e sangue” che presto potrebbero riguardare il vicino Congo-Brazzaville, ove il Fmi ha chiesto come condizionalità ai prestiti un programma di revisione fiscale in ambito petrolifero prodomico, secondo molti analisti, alla vendita dei giacimenti nazionali. Cosa che per Kinsasha sarebbe, in termini analoghi, una vera e propria condanna. L’ennesima, per una nazione che ha un ampio credito “morale” da riscuotere nei confronti del resto del mondo.

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