Tra Donald Trump, il suo omologo cinese Xi Jinping e il raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di tregua sulla guerra commerciale c’è un convitato di pietra: Jair Bolsonaro. La soia brasiliana affluisce con regolarità e a ritmi crescenti nell’Impero di Mezzo e l’aumento dell’export del Paese verso Pechino drena quote di mercato ai produttori statunitensi, ritenuti centrali per il raggiungimento degli obiettivi dell’intesa con Washington firmata a gennaio.
L’export di soia brasiliana in Cina ha toccato la quota record di 9 milioni di tonnellate ad aprile, spazzando di conseguenza via la possibilità realistica che Pechino possa mantenere l’obiettivo di aumentare dai 24,5 miliardi di dollari del 2017 ai 36,5 del 2020 le sue importazioni dagli Stati Uniti. La soia, sottolinea il Financial Times, “è centrale negli accordi commerciali sino-americani, rappresentando circa i due terzi dell’export agricolo di Washington in Cina”.
Ci sono, prosegue il giornale della City, “notevoli acquisiti cinesi annunciati dall’Us Department for Agriculture e perfezionati da operatori supportati dallo Stato come Cofco e Sinograin”, ma nel frattempo Pechino ha preacquistato oltre il 95% degli ordini per giugno rivolgendosi con forza al gigante latinoamericano.
Il Brasile, che prevede un raccolto record da 125 milioni di tonnellate, ha il vantaggio di poter giocare sulla debolezza del cambio della sua moneta, il real, di circa il 25% rispetto al dollaro, di usufruire di lasche o nulle protezioni ambientali (la coltivazione soia è al centro della devastazione dell’Amazzonia) e di avere un minor costo del lavoro e bassi costi di spedizione. E gli Stati Uniti potrebbero presto non ricevere buone notizie nemmeno sull’altro fronte commerciale, quello della carne suina, per il quale le complicazioni per l’export verso Pechino sono aumentate per la questione sanitaria.
La Cina ha già deciso di offrire un contentino ai partner-rivali su un fronte diverso per ovviare alla previsione di un buco sull’importazione agricola. Il ministero delle finanze cinese, come spiega l’agenzia Reuters da Pechino, ha infatti recentemente dichiarato di aver previsto una serie di esenzioni sui dazi per 79 diverse tipologie di prodotto commerciate con gli States: le nuove esenzioni entreranno in vigore il 19 maggio e scadranno il 18 maggio 2021, e l’elenco include minerali, terre rare, oro, argento e prodotti concentrati (concentrates), dunque commodities ad elevato valore strategico (specie le terre rare).
Curiosa invece la parabola del presidente Jair Bolsonaro: eletto sulla scia del sostegno delle componenti più filo-statunitensi degli apparati brasiliani, come i finanzieri e le chiese evangeliche, fautore di un ricongiungimento con Washington passante per il sostegno alle teorie politiche occidentaliste di Steve Bannon, padre del “Ministro degli Esteri” ombra Eduardo Bolsonaro che è arrivato a pensare a un arsenale atomico brasiliano contro presunte “minacce cinesi” il presidente brasiliano ha sul medio periodo dovuto accettare la realpolitik, che ci ricorda come il primo partner commerciale di Brasilia sia proprio Pechino. A ottobre 2019 Bolsonaro ha portato il Mercosur, l’associazione commerciale sudamericana, ai piedi di Xi Jinping nel corso della sua visita in Cina, nel corso della quale ha detto che il Brasile promuoverà i paesi del Mercosur per esplorare la cooperazione con la Cina nella liberalizzazione e nella facilitazione del commercio. Una presa di posizione notevole per un leader a parole critico, se non addirittura apocalittico, contro il ruolo della Cina in America Latina. Ma alla prova dei fatti pronto ad approfittare dei vantaggi competitivi anche ai danni del suo alleato naturale: scalzare le posizioni dominanti della Cina nel commercio non è, certamente, un pranzo di gala.