Dopo mesi di attese, dichiarazioni più o meno prudenti e di dati macroeconomici non proprio soddisfacenti, la Federal Reserve americana ha annunciato il taglio dei tassi di interesse, portandoli al range 2,0% -2,25% e riducendoli di un quarto di punto dal precedente 2,25% – 2,50%.
La decisione della Fed sui tassi di interesse non ha però soddisfatto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che su Twitter ha dichiarato: “Come al solito, Powell ci ha deluso”, riferendosi al governatore della banca centrale americana Jerome Powell, che nell’ultimo attesissimo meeting della Fed lo scorso 31 luglio ha annunciato la nuova mossa di politica monetaria.
Trump – e insieme a lui moltissimi investitori – si aspettava infatti un taglio dello 0,50% che potesse dare più slancio all’economia statunitense.
Il Federal Open Market Committee, l’organismo della Federal Reserve che si occupa delle operazioni di mercato aperto negli Usa, ha indicato che il mercato del lavoro rimane ancora forte e che l’attività economica “sta aumentando a un ritmo moderato”.
“In media, negli ultimi mesi, i guadagni da lavoro sono stati solidi e il tasso di disoccupazione è rimasto basso” ha spiegato il Fomc nella nota rilasciata a seguito della riunione della scorsa settimana.
A giustificare il taglio dei tassi è però l’inatteso rallentamento dell’inflazione USA. Sebbene la crescita della spesa delle famiglie sia migliorata rispetto all’inizio dell’anno, il Committee ha precisato che la crescita degli investimenti fissi delle imprese è stata moderata. Su una base di 12 mesi, l’inflazione è stata inferiore al 2% e anche le aspettative di inflazione a più lungo termine lasciano spazio a pochi cambiamenti.
Coerentemente con il suo mandato, il Fomc punta a favorire la massima occupazione e stabilità dei prezzi. La decisione di tagliare i tassi di interesse sui fondi federali serve proprio a sostenere l’inflazione e avvicinarla quanto più possibile all’obiettivo simmetrico del 2%.
Il governatore Powell ha però anche precisato che la nuova misura di politica monetaria adottata dalla Fed non sarà, come invece auspicato da Trump, l’inizio di un lungo ciclo di tagli dei tassi in risposta alle misure di sostegno adottate da Cina, Unione Europea e molte banche centrali di primaria importanza come la Bank of England e la Bank of Japan. Tuttavia Powell ha anche lasciato intendere che la Fed potrebbe ritoccare ulteriormente i tassi se le condizioni economiche lo richiederanno.
La guerra valutaria Ue-Usa
Il rischio nel caso di una spirale di tagli dei tassi da parte delle principali economie mondiali è quello di una guerra valutaria, volta ad un abbassamento della valuta per sostenere le esportazioni. Come più volte chiesto da Trump, la Fed in questo scenario di guerra valutaria, dovrebbe rispondere aggressivamente alle politiche “dovish” adottate lo scorso giugno dalla Banca centrale europea e procedere con un sostanziale taglio dei tassi per indebolire il dollaro e migliorare così la bilancia commerciale degli Stati Uniti.
Il presidente americano ha infatti più volte accusato l’Unione europea e le politiche del governatore della Bce Mario Draghi per il supporto “scorretto” fornito all’economia del vecchio continente che hanno spinto al ribasso l’Euro e hanno portato ad avvantaggiare le esportazioni.
La risposta di Trump a Powell
Jerome Powell è però rimasto inamovibile di fronte alle richieste pressanti di Trump per tagliare i tassi sui fondi federali e spingere giù il dollaro. D’altronde il compito del governatore della banca centrale non è solo quello di sostenere l’economia del paese ma anche quella di tutelare i risparmiatori. Da qui la mossa prudente della Fed la scorsa settimana che, pur andando nella direzione di un taglio dei tassi di interesse, non ha seguito le linee più “aggressive” dettate dal presidente.
Ma Trump, a sua volta, non si è dato per vinto e, in concomitanza con le decisioni della Fed, ha annunciato nuovi dazi al 10% su ben 300 miliardi di dollari di prodotti cinesi: una mossa che a molti è sembrata una risposta diretta proprio al governatore della banca centrale americana.
Mentre i mercati globali chiudevano la settimana soffrendo l’ennesimo colpo per i dazi contro la Cina, venerdì scorso The Donald è riuscito anche a spaventare le Borse europee quando ha avvertito che avrebbe fatto un nuovo annuncio riguardante le relazioni commerciali Usa-Ue, facendo temere, almeno per un attimo, nuovi dazi anche in Europa. Un falso allarme, dato che l’annuncio riguardava l’accordo per l’aumento delle esportazione di carne bovina americana nell’UE, che però ha ribadito la posizione combattiva della Casa Bianca in fatto di rapporti commerciali e politiche economiche.
Lo scontro tra Casa Bianca e Federal Reserve
La sfida Trump-Powell sembra dunque proseguire anche dopo il taglio dei tassi da parte della Fed. Anzi la lotta tra la Casa Bianca e il Marriner S. Eccles Building, la sede della banca centrale americana, sembra inasprirsi ancora di più, con il presidente della prima economia mondiale che ad ogni decisione della Fed annuncia una nuova mossa in direzione opposta.
La cosa più interessante è che, anche se a Washington i due edifici distano meno di un miglio l’uno dall’altro, gli effetti di questa sfida interna a Capitol City sono destinati a ripercuotersi sull’economia di tutto il mondo.