La Russia non sarà fatta andare in default secondo gli standard occidentali: il ministero delle Finanze di Mosca ha saldato le cedole dal valore di 117 milioni di dollari in scadenza nella giornata del 16 marzo attingendo alle sue risorse denominate nel biglietto verde. L’accredito è avvenuto sulla filiale di Londra di Citibank, che è la banca di riferimento della Russia per i pagamenti degli eurobond.
La mossa è importante perché segue di poche ore la dichiarazione di Fitch, una delle principali agenzie di rating, circa il fatto che una scelta russa di onorare in rubli tali obbligazioni sarebbe stata valutata come l’anticamera del default. Mosca sarebbe infatti in quest’ottica stata etichettata come debitrice poco affidabile e sarebbe partito il periodo di grazia di trenta giorni prima di un definitivo crac del debito sovrano russo.
La mossa indica chiaramente una serie di novità sulla gestione da parte della Russia della crisi causata dall’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio scorso
In primo luogo si indica che Mosca non è ancora pronta al decoupling definitivo con l’Occidente. Soprattutto sul piano economico-finanziario. La fuga di capitali massiccia, la svalutazione del rublo del 40%, l’esclusione delle istituzioni finanziarie di Mosca dal circuito Swift erano state affrontate dalla Russia con un richiamo al sovranismo economico-finanziario. Anton Siluanov, ministro delle Finanze ha nei giorni scorsi anticipato che la volontà del governo di Vladimir Putin è quella di saldare in rubli le obbligazioni per ovviare alla necessità di una ristrutturazione del debito. Tuttavia questo significherebbe la necessità di affrontare la marcia di avvicinamento verso un nuovo tracollo finanziario dopo quello del 1998.
In secondo luogo, di conseguenza, mostra che il partito dei pragmatici interni alle istituzioni russe sta avendo, per ora, la meglio nel campo della gestione dell’economia. Elvira Nabiullina, la donna dei miracoli a capo della Banca centrale russa, che già in passato ha tirato Mosca fuori dalle secche della Grande Recessione prima e delle sanzioni post-Crimea poi, ha nel giorno dell’attacco all’Ucraina promosso un raddoppio dei tassi dal 9,5% al 20% per fermare la fuga di capitali e salvare il rublo. Deprezzato del 40% ma non affossato nel braccio di ferro valutario delle ultime settimane. L’opzione nucleare della rottura con l’Occidente metterebbe a rischio i 50 miliardi di dollari di obbligazioni sovrane con Paesi ritenuti ostili e costringerebbe Mosca ad avere un unico vero partner, la Cina. Che nei giorni scorsi ha iniziato a muoversi sia contro il dollaro che, in previsione, per ovviare a uno shock legato al crollo delle forniture energetiche in caso di default russo iniziando a trattare sul petro-yuan con l’Arabia Saudita. Un’attrazione del rublo nella galassia di una valuta come lo yuan, meno forte rispetto a dollaro o euro nei mercati globali, sottoporrebbe l’economia russa a shock sistemici di ampia portata.
In terzo luogo, Mosca ammette che la finanza è il suo punto debole e, in quest’ottica, la mossa del pagamento in dollari può avere matrice distensiva. Mostrando di non poter opporre armi pari all’Occidente, che lavora alla disconnessione della Russia, apre anche a un canale diplomatico. Una Russia desiderosa di fare concessioni a favore del mantenimento dell’attuale contesto valutario globale sarebbe una Russia che avrebbe dunque offerte da fare al tavolo delle trattative in caso di pacificazione dell’Ucraina.
Quarto e ultimo punto è il fatto che Paesi come la Russia, dotati di economie legate in primo luogo al commercio di materie prime prezzate in dollari non possono, volenti o nolenti, fare a meno del dollaro in cui per ora le commodities sono prezzate. I discorsi degli anni passati sulla valuta sovrana, dopo la pandemia e la guerra in Ucraina, sono superati dai fatti: in questo momento una moneta è forte e sovrana se sostenuta da un’economia in grado di consolidarne il ruolo geopolitico. La moneta è riserva di valore e di potere e il rublo si dimostra ad oggi incapace di assolvere a entrambe le funzioni: il sovranismo valutario fine a sè stesso, lo dimostra la scelta della Russia di pagare le cedole in dollari, rischia di essere un feticcio su cui mandare al collasso le proprie economie. Non a caso, dalla Turchia alla Nigeria, dall’Argentina all’Iran, negli ultimi anni le grandi crisi valutarie hanno riguardato Paesi dotati di banche centrali autonome, emissioni controllate su base nazionale e valute formalmente sovrane, ma di fatto dipendenti dalle dinamiche inflattive ed economiche dei principali attori. Tra cui il dollaro spicca e, con un po’ di buona volontà, potrebbe unirsi anche l‘euro. Un club ristretto (sterlina, yen, yuan in misura complementare ne fanno parte) a cui la Russia ammette, con il rublo, di non poter fare ancora parte.
Dunque, in fin dei conti, possiamo affermare che sì, la Russia teme il default e non è ancora pronta a sobbarcarsene i costi. E questo è un buon segno per l’intero contesto economico globale, che come ha detto Giulio Tremonti vivrebbe il default di Mosca come una seconda Lehmann Brothers. La speranza è che la “diplomazia finanziaria” possa mantenere aperti gli stretti, ma fondamentali, corridoi di dialogo su cui si può imbastire una trattativa di pace che ponga fine alla guerra in Ucraina e alle contemporanee offensive economiche.