Il Financial Stability Board, l’organizzazione internazionale con sede a Basilea deputata alla definizione della governance finanziaria internazionale, ha recentemente ripreso a occuparsi dei derivati scambiati a trilioni di dollari quotidianamente al di fuori delle transazioni classiche, come collaterali ad esse o sviluppati con intenti speculativi.
Di fronte alle evidenti problematiche gestionali di un mercato proteso verso l’accumulazione, l’autopropagazione e la voracità, che a livello globale ha raggiunto l’irreale massa critica di 640mila miliardi di dollari (otto volte il Pil della Terra) Basilea ha pensato di rendere più trasparente le transazioni e la gestione di un sistema in cui non mancano gli elementi di criticità. Pensiamo ad esempio al grave precedente dei subprime, i mutui ad alto rischio del mercato immobiliare Usa il cui scorporamento in prodotti derivati causò la miccia d’innesco della Grande Recessione, e alla cronica carenza di memoria della finanza: negli Stati Uniti i prestiti auto e studenteschi stanno creando dinamiche paragonabili a quelle dello scorso decennio, mentre in Europa assistiamo al deperimento di Deutsche Bank, ingolfata dalla critica gestione di un vero e proprio oceano di derivati tossici.
Obiettivo del Fsb è garantire maggiore trasparenza e sicurezza nella negoziazione dei derivati, ma con gradualità. “Per garantire i derivati, si rischia di rendere più fragile il mercato globale dei bond”, fa notare Il Sole 24 Ore, sottolineando che gli obblighi di maggiore trasparenza riguarderebbero “una cifra compresa tra 9mila miliardi di dollari e 22.500 miliardi di dollari di titoli obbligazionari” utilizzati come sottostante per la creazione dei derivati. Senza la certezza che questi siano la piattaforma di partenza dei tipi più speculativi e pericolosi di titoli derivati.
Il Fsb intende accelerare il monitoraggio per veder pienamente applicata una riforma caldeggiata dal G20 sin dall’oramai lontano 2009, anno in cui il mondo era tormentato dalla buriana della crisi globale. Il rapporto annuale sul rischio sistemico stilato dal Fsb segnala che la maggior parte delle giurisdizioni mondiali sono a buon punto sulla compliance riguardo a reportistica sulla mole di derivati, creazione di “camere di compensazione” finanziarie per le transazioni e, in misura minore, fissazione di rapporti di margine ben definiti. Maggior strada deve fare la regolamentazione in materia di coordinazione transfrontaliera del monitoraggio sui derivati, che è proprio il punto più critico.
Su iniziativa del Fsb ultimamente, prosegue il Sole, “si è pensato di fare di più: di introdurre un’ ulteriore garanzia. Il ‘margine iniziale‘, appunto: titoli, per un ammontare pari al 3-5% del valore nominale del derivato, che vengono parcheggiati per coprire ulteriori eventuali perdite non coperte già dalle garanzie attualmente esistenti. Un ‘cuscinetto’ aggiuntivo, insomma” funzionale alla dissuasione dal rischio speculazione. In cui rischierebbero però di essere assorbiti titoli, molto spesso pubblici, che necessitano di una forte liquidità e di circolare continuamente tra gli investitori. La soluzione prospettata dal Fsb è stata dunque di natura intermedia, caldeggiante un’applicazione graduale della riforma con il 2021 come orizzonte.
Basterà? Bisogna fare i conti con la pessima capacità della finanza di apprendere dal passato. La scelta del gruppo di Basilea è logica e condivisibile, ma la turbolenza finanziaria degli ultimi tempi ci ricorda che due anni potrebbero essere un orizzonte non sufficiente a scongiurare una nuova crisi. In cui, nuovamente, il mondo si ritroverebbe a dover gestire l’ottovolante dei derivati fuori controllo.