Per qualche mese avevamo pensato che sì, forse l’Europa poteva davvero svoltare definitivamente. E che il Covid-19 fosse riuscito laddove non era bastato un decennio interno, non erano stati sufficienti le immagini rovinose della devastazione economica dello scorso decennio, del tracollo economico, sociale e psicologico della Grecia, della crescente rivolta elettorale contro l’Unione europea: creare, cioè, una spinta a rottamare definitivamente le logiche dell’austerità fiscale. Negli scorsi mesi la Germania di Angela Merkel, paladina dell’austerità in passato, aveva promosso manovre fiscali iper-espansive e aveva acconsentito a limare il potere di veto dei falchi; l’Unione Europea aveva sospeso il patto di stabilità per il 2020 e 2021 e modificato le norme sugli aiuti di Stato.

In questo contesto, il Recovery Fund era inizialmente apparso come la ciliegina sulla torta: la creazione di debito mutualizzato per sostenere la ripresa comunitaria andava, sulla carta, nella giusta direzione. Ma il potere frenante dei falchi e le logiche consolidate degli apparati Ue non hanno potuto fare a meno di mantenere le residue scorie della logica dell’austerità fiscale nel fondo Next Generation Eu. E l’Ue di questo non fa mistero.

Mentre in Italia la complessa crisi di governo prendeva piede, negli uffici di potere di Bruxelles si discuteva sulla road map per implementare il piano di rilancio dell’Unione. Tra febbraio e marzo Europarlamento, Eurogruppo e Consiglio europeo dovranno delineare il regolamento che consentirà l’implementazione dei piani nazionali di adeguamento al Recovery Fund. L’Unione Europea chiederà ai Paesi membri progetti di facile comprensione, implementabili in tempi celeri, con destinazioni di spesa precise e settori di intervento ben delineati (dall’ambiente alla sanità, dalla digitalizzazione alle infrastrutture): un piano modello appare essere quello spagnolo, mentre il progetto italiano di Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri è ancora in alto mare.

A tal proposito è bene ricordare che le risorse del Recovery Fund non sono affatto esenti da condizioni da rispettare, che rappresentano paletti vincolanti per l’erogazione dei fondi, vista anche la mole di soldi che arriveranno nei Paesi. Più alte le risorse a disposizione, più rigorose le condizionalità richieste, che saranno valutate dalla task force guidata dalla francese Celine Gauer in sinergia con la Commissione. E maggiori margini di bilancio l’Europa concederà in questa fase, maggiore disciplina chiederà in futuro: sì, perché il patto di stabilità, la regola del 3% nel rapporto debito/Pil e l’utilizzo smodato di parametri come l’output gap, sorpassati da tempo nella teoria economica, sono solo sospesi, non cancellati per sempre. E i documenti europei e le stesse regole del Recovery Fund non mancano di segnalare che le condizionalità in cambio dell’erogazione dei fondi, da futuri impegni alla disciplina fiscale a riforme settoriali in campi come la concorrenza e la giustizia, rappresentano sentieri obbligati per gli Stati che vogliono ricevere le risorse Ue, come del resto ha ricordato anche il deputato renziano Luigi Marattin.

Anche per questo Madrid, rivelatasi sinora la capitale più pragmatica sul fronte del Recovery, intende concentrarsi solo sulla parte di aiuti a fondo perduto riducendo la sua esposizione sui prestiti del Recovery: il gioco dell’indebitamento europeo non vale la candela della garanzia di riforme come contropartita evitabili in caso di scommessa sul consistente deficit nazionale. Nel suo piano da 209 miliardi, l’Italia invece sfrutterà circa 87 miliardi di prestiti per coprire spese già deliberateaprendo dunque strada all’ingresso di dure e forti condizionalità presenti e future per il sistema Paese e non fugando definitivamente il rischio austerità.

Per ora a garantirci contro un ritorno in auge del patto di stabilità c’è la situazione di grande incertezza, l’attesa per l’inizio del piano e l’azione della Bce, garantita fino a marzo 2022. Ma dopo, che ne sarà dell’Europa? Se si tornerà all’austerità fiscale come contropartita per gli investimenti odierni mutualizzati, che spazio di manovra avranno le economie di Paesi come l’Italia? Come interpretare le uscite di chi come Markus Ferber, eurodeputato bavarese della Csu – il partito alleato della Cdu di Angela Merkel – ed esponente di spicco del Partito popolare europeo chiede addirittura di cavalcare nuovamente la strategia dell’austerità fiscale per fare concorrenza finanziaria al Regno Unito post-Brexit? Nel Recovery Fund non tutto è da buttare, ma i fondi vanno sfruttati dai diversi Paesi non come se fossero una pioggia di contanti dovuta agli Stati ma come una sfida strategica che prospetta opportunità e rischi. Per minimizzare questi ultimi, l’azione dei fondi europei dovrebbe essere messa in campo in parallelo, e non in sostituzione, della politica economica nazionale. Il comportamento virtuoso è quello della Spagna, quello problematico quello dell’Italia. Che, governo Conte o no, rischia di essersi nuovamente incamminata sul rovinoso sentiero dell’austerity. Un’ipoteca sul futuro delle prospettive nazionali.





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