L’effetto boomerang è pericolosissimo, soprattutto quando si verifica in ambito politico. Per maggiori informazioni chiedere agli Stati Uniti, che per “colpa” di due provvedimenti voluti da Donald Trump rischiano di subire un inatteso contraccolpo nella disputa a distanza con la Cina. Tutto ebbe inizio con la guerra dei dazi, quando nell’estate 2018 The Donald decise di imporre le prime tariffe sulle esportazioni cinesi in territorio americano.

L’obiettivo di Trump, in linea teorica, era e resta legittimo: riequilibrare la bilancia commerciale con la Cina o, meglio ancora, eliminare tutti i privilegi sui quali Pechino ha potuto contare cavalcando il fenomeno della globalizzazione. Il problema è che i dazi hanno avuto un effetto inaspettato: hanno sì colpito la Cina, ridimensionandone – seppur solo in minima parte – l’ascesa, ma al prezzo di aver danneggiato anche gli agricoltori della cosiddetta America profonda e tutte quelle industrie statunitensi che si affidano a delocalizzazioni oltre la Muraglia, grandi brand compresi. L’altra misura che rischia di rivoltarsi contro Washington riguarda la politica sull’immigrazione introdotta per limitare l’accesso di professori e studiosi cinesi al mondo accademico a stelle e strisce.

Effetto boomerang

Come fa notare il South China Morning Post, le misure anti immigrazione degli Stati Uniti vanno a colpire, tra gli altri bersagli, anche numerosi studiosi cinesi salpati da oltre oceano per farsi le ossa in una delle tante prestigiose università americane o start up. Questo è un assist alla Cina, dal momento che Pechino, già ormai da diversi anni, sta facendo di tutto per riportare a casa i suoi grandi cervelli sparsi per il pianeta. Il fatto da tenere in considerazione è che l’ambiente accademico statunitense è uno dei migliori al mondo, ed è lo stesso che ha fornito a studenti, studiosi vari e professori una formazione elevatissima in materie geopoliticamente strategiche. Non a caso, tra Cina e Stati Uniti è in atto un braccio di ferro tecnologico, una competizione che si gioca anche e soprattutto in campo militare.

Pechino riaccoglie i suoi “cervelli in fuga”

Gli Stati Uniti impongono da sempre restrizioni sull’esportazione di tecnologia americana oltre Muraglia. La Casa Bianca non vuole in alcun modo che Pechino possa rubare la proprietà intellettuale o sviluppare prodotti di fascia alta, capaci di competere con quelli made in Usa. La contesa si gioca su un tavolo molto più importante che non solo su quello commerciale. È infatti in gioco la supremazia tecnologica e, di riflesso, il primato alle più moderne tecnologie applicabili anche in campo militare.

Dunque, la scelta di Trump di chiudere la porta in faccia ad aziende cinesi e accademici con gli occhi a mandorla ha prodotto un effetto probabilmente non calcolato a dovere: i brillanti accademici tornano in patria, accompagnati da un buon numero di start up e imprese cinesi inserite nella black list americana. In altre parole, la repressione del governo Usa sull’influenza straniera – in particolar modo quella cinese – non fa altro che agevolare la Cina, agendo sul mondo accademico. Mentre Washington allontana i talenti, Pechino li riaccoglie a braccia aperte. Ricordiamo che l’obiettivo del Dragone è ottenere la leadership mondiale di settori chiave, come quello sull’intelligenza artificiale, entro il 2030. Di questo passo, attingendo alle teorie di ricerca e alle innovazioni frutto dei ricercatori cacciati dagli Usa, i cinesi potrebbero riuscirci anche prima.





Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.