Emmanuel Macron entra a gamba tesa nel dibattito per il futuro assetto politico dell’Unione Europea in risposta all’emergenza coronavirus e propone un vero e proprio “all-in”: aggiungere ai 750 miliardi di euro di risorse messi in campo dalla Bce un piano di stimolo economico europeo da 550 miliardi destinato a modularsi in diverse fasi con strumenti eterogenei, così da dare il necessario volano alle politiche di stimolo messe in campo dagli Stati nazionali, che per attori come la Germania e la stessa Francia hanno già raggiunto cifre da capogiro.
Macron, per necessità politiche e strategiche, sulla risposta europea alla crisi ha rotto il fronte con Angela Merkel e solidarizzato con Giuseppe Conte e Pedro Sanchez. L’asse mediterraneo Italia-Francia-Spagna mira a scalfire l’Europa del rigore e a proporre risposte concordate a tutto campo. Il piano di Macron, in tal senso è chiaro: proporre l’introduzione di un “Fondo speciale finanziato dai governi che poi tramite i Coronabond moltiplicherà la sua potenza di fuoco sui mercati.”, sottolinea Repubblica. “Uno strumento dedicato a tirar fuori il Continente dalla recessione da pandemia, con una durata limitata a cinque o dieci anni. Un modo per convincere Merkel, Rutte e Kurz che non si tratta della blasfema condivisione dei debiti, ma di un meccanismo comune una tantum”. Si rilegge, in versione economica, un eco della dottrina politica francese dell’utilizzo dell’Europa come moltiplicatore di potenza. E traspare la certezza nella consapevolezza che misure come l’indennità anti-disoccupazione Sure possano essere un serio punto di partenza per tirare l’Europa fuori dalle secche solo se adeguatamente supportate.
Parigi, Roma e Madrid mirano a capitalizzare gli spiragli di apertura di Angela Merkel su una rimozione delle condizionalità nell’utilizzo dei fondi del Meccanismo europeo di stabilità e a smussare le problematiche che, per effetto di calcoli spericolati e rischiosi, insorgono in relazione al rifiuto dei “falchi” di promuovere gli Eurobond. Il piano Macron di uno strumento mirato in funzione anti-recessione è un asso calato sul tavolo del dibattito in quanto potenzialmente in grado di unire le pretese dei rigoristi del Nord di misure ad hoc, le richieste dei governi anti-austerità di misure più incisive e la vitale necessità di politiche capaci di creare un effetto moltiplicatore nell’economia reale.
Come ha ricordato Mario Draghi recentemente, è solo scatenando la potenza delle politiche fiscali nazionali e l’aumento dei deficit pubblici che la crisi potrà essere contenuta. Oltre Atlantico gli Stati Uniti lo hanno capito: un recente studio di Morgan Stanley stima che nel 2020 il deficit federale di Washington ammonterà ad almeno 3.7 mila miliardi di dollari, finanziato da emissioni di titoli acquistati in larga parte dalla Federal Reserve, mentre Donald Trump ha appena annunciato un maxi-stimolo fiscale legato a un ampio programma infrastrutturale. L’azione dell’Unione Europea potrebbe, in prospettiva, aiutare a trovare risorse agli Stati, che non dispongono di una banca centrale capace di monetizzare il deficit, per rafforzare le manovre di stimolo fiscale. In questa direzione potrebbero andare i coronabond e misure quali quelle che metterà in campo la Banca Europea degli Investimenti, capace di mobilitare 240 miliardi di euro per prestiti alle imprese in difficoltà, 40 dei quali pronti a prendere la strada dell’Italia.
L’iniziativa di Macron è anche una sfida ai falchi del rigore e rafforza la percezione che Parigi stia cercando di capitalizzare la crisi per ridurre il gap politico che la separa da Berlino: il calcolo del presidente francese è strategico e strumentale all’interesse francese, ma ci stupiremmo del contrario. La crisi in corso conferma quanto, più dell’idea lirica d’Europa, sia lo Stato nazionale il reale centro funzionale alla risposta alla crisi in Europa.