La Nuova Via della Seta, o Belt and Road Initiative (Bri), abbracciando l’Eurasia e altre aree del mondo, si presenta come il progetto di sviluppo economico più ampio e multiculturale del XXI secolo. Non esistono paragoni sul mercato. L’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, non ha nemmeno iniziato a comprendere l’incredibile rivoluzione geopolitica e geoeconomica rappresentata dalla Bri.

Secondo Washington, la Bri viene considerato come un progetto “controverso” o “fatto in Cina, per la Cina” solo perché il governo degli Stati Uniti ha scelto strategicamente di contrastarla invece di trarne profitto. Questa decisione è in netto contrasto con non meno di 152 nazioni e organizzazioni internazionali che, nei mesi precedenti a marzo 2019, hanno mostrato formalmente il loro sostegno alla Bri.

I partner della Bri hanno già ottenuto più di 410 miliardi di dollari

Un’implacabile campagna di demonizzazione – forte in alcune latitudini dell’Ue come negli Stati Uniti – denigra la Bri descrivendola come “imperialismo del debito” o un’ingannevole “trappola del debito”. I fatti dicono però un’altra cosa: i partner della Bri hanno già ottenuto più di 410 miliardi di dollari in investimenti cinesi nel periodo che va dal 2014 al 2018. È essenziale ricordare che la Bri, secondo il programma originale, rimarrà nella fase di pianificazione fino al 2021: solo allora inizierà la fase di realizzazione, che durerà fino al 2049.

La “miopia occidentale” – incentrata sui guadagni trimestrali delle aziende o sulla prossima campagna elettorale – non è in grado di comprendere la portata della Bri, che è aperta a tutti, non solo alle nazioni dell’antica Via della Seta. Si tratta di un progetto flessibile – che traccia partnership oltre l’Eurasia e l’Africa fino all’America latina e al Pacifico – e allo stesso tempo inclusivo, poiché rispetta diverse modalità di sviluppo e favorisce ciò che equivale a un vero dialogo tra civiltà.

È inevitabile che la Bri, a causa della sua complessità, si muova più come una rompighiaccio nell’Artico che come un treno ad alta velocità. Sono infatti coinvolti almeno sei corridoi commerciali: il Nuovo ponte terrestre eurasiatico, il Corridoio economico Cina-Pakistan (in inglese China-Pakistan Economic Corridor, Cpec), il Corridoio economico Cina-Mongolia-Russia, il Corridoio economico tra Cina, Asia centrale e occidentale e due corridoi collegati alla Via della Seta marittima, cioè la penisola indocinese e l’area che comprende Bangladesh, Cina, India e Myanmar.

La nuova via della Seta
Infografica di Alberto Bellotto

Importanti studiosi cinesi – come Wu Bingbing, professore dell’Università di Pechino – tendono a descrivere in modo conciso la Bri, come una “rete di partnership e progetti”. Alla base di questa rete c’è un concetto geoeconomico fondamentale: la costruzione di infrastrutture a sostegno dello sviluppo economico in vaste aree del sud del mondo.

Il Corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec), di cui ho recentemente visitato la parte settentrionale, è il progetto più importante e ambizioso della Bri. La sua logica è la creazione di una solida base utilizzabile dal travagliato Pakistan per diventare una potenza media intorno al 2035. La base, ancora una volta, è la costruzione di infrastrutture indispensabili come zone industriali, porti e centrali elettriche. Lo stesso concetto vale per il corridoio economico che collega la provincia cinese meridionale dello Yunnan con la sua “estensione” nel sud-est asiatico continentale che presto permetterà, per esempio, di viaggiare in treno da Kunming a Vientiane, la capitale del Laos, in tre ore invece di tre giorni.

La ferrovia Giacarta-Bandung, che sarà sviluppata come progetto della Bri, non potrebbe essere più ricca di significato: nel 1955, già in era post coloniale, a Bandung si tenne una storica conferenza che preparò il terreno per il movimento dei Paesi non allineati.

La Siria, la cui ricostruzione postbellica sarà essenzialmente gestita da Cina, Russia e Iran, è considerata da Pechino come un futuro snodo chiave della Bri

Iran, India e Russia saranno collegati tramite il Corridoio di trasporto internazionale nord-sud. L’Iran collaborerà con la Russia anche attraverso un accordo commerciale nel quadro dell’Unione economica eurasiatica. Durante la recente visita in Iraq del presidente iraniano Hassan Rouhani, è stato siglato un accordo su una ferrovia che partirà da Shalamcheh, sul confine Iraq-Iran, e attraverserà l’Iraq per arrivare fino a Latakia, in Siria, nel Mediterraneo orientale. Tutto questo riguarda il segmento iraniano della Nuova via della Seta. Anche la Siria, la cui ricostruzione postbellica sarà essenzialmente gestita da Cina, Russia e Iran, è considerata da Pechino come un futuro snodo chiave della Bri.

Il presidente Vladimir Putin, anni prima dell’iniziativa cinese, propose all’Unione europea il concetto di una zona di libero scambio da Lisbona a Vladivostok. Ora, ispirati dalla Bri, gli analisti russi del Valdai Club hanno proposto il concetto di Grande Eurasia, dove la Russia si posiziona come un «ponte tra le civiltà» legato alla Bri pur continuando a coltivare le sue relazioni commerciali con l’Europa.

I più importanti analisti di Cina, Russia, Iran, Turchia e Pakistan concordano sul fatto che, in termini di integrazione eurasiatica, sia tutto interconnesso: Bri, Grande Eurasia, Eaeu, Intsc, Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), Brics plus e Asean.

Ho seguito approfonditamente la Nuova via della Seta da quando questa idea è stata svelata dal presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (Astana) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta). Proprio come il made in Italy per l’Italia, la sigla Bri rappresenta ormai a livello mondiale l’essenza del brand Cina. È questo è inevitabile, considerando che, dal punto di vista geopolitico, nel prossimo futuro la Nuova via della Seta sarà il concetto intorno al quale verrà organizzata la politica estera cinese.

Wang Yiwei – direttore del Centre for Eu Studies presso l’Università di Renmin e autore di China Connects the World: What Behind the Belt and Road Initiative – ha mostrato dettagliatamente come Pechino abbia lanciato quella che potrebbe essere definita globalizzazione 2.0, 3.0 o addirittura 4.0.

Ivo Saglietti, Albania, Vlorë, 1999

Il contrasto con la guerra globale al terrorismo, la spinta per rivoluzioni colorate e cambi di regime nel mondo e l’uscita dai trattati internazionali non potrebbe essere più evidente.

Ovviamente, la Bri è incentrata sull’emisfero australe, che ha un disperato bisogno di tecnologie, capitali, infrastrutture e posti di lavoro per lavoratori qualificati. La Cina è ricca di capitali, tecnologie e know-how in materia di infrastrutture, ma non ha mercati. Allo stesso tempo, l’espansione della Nuova via della Seta potrebbe funzionare anche per lo sviluppato Occidente.

La polemica sul memorandum d’intesa firmato da Roma mette in ombra una dinamica fondamentale. Per l’Italia, la modernizzazione e il potenziamento dei porti di Venezia, Trieste, Genova e Ravenna si traduce nella possibilità di convogliare verso Austria, Germania, Svizzera, Slovenia e Ungheria le linee di approvvigionamento provenienti dalla Cina che passano attraverso il Mediterraneo, parallelamente e in competizione con i super-porti settentrionali di Rotterdam e Amburgo, anch’essi collegati alla Bri. Ma il focus è nell’implicito “win-win”: i nuovi corridoi marittimi sono destinati a dare una forte spinta all’esportazione del made in Italy in Cina.

L’Eurasia è il centro nevralgico della storia del mondo

Il geografo francese Christian Grataloup, insieme ad altri, ha mostrato in dettaglio come l’Eurasia debba essere interpretata come un’entità geostorica, il “centro nevralgico della storia del mondo”. La Bri, che si sta sviluppando come una Nuova via della Seta del XXI secolo, ripristina l’importanza storica del “centro nevralgico”, ciò che la geopolitica definisce come Heartland. È in corso un massiccio cambiamento di paradigma, che si lascerà alle spalle il mondo che abbiamo conosciuto nell’ultimo mezzo millennio. L’Eurasia è tornata. Ed è più forte che mai: fateci l’abitudine.

Fotografia di apertura di Marco Negri, Brazil, Sertao do Araripe, 2010





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