L’asse costituito da Angela Merkel, Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen e Christine Lagardeha disinnescato Karlsruhe. Ancor prima che la sentenza controversa della Corte costituzionale tedesca sulla legittimità del quantitative easing firmato Mario Draghi ricevesse risposta (c’è tempo fino ad agosto) dall’Eurotower i leader francesi e tedeschi e i loro connazionali alla guida della Commissione europea e della Bce hanno rafforzato l’unità di intenti per portare avanti una risposta comune alla crisi economica da coronavirus.
Contrariamente a una certa narrativa che ipotizza uno scontro ai vertici senza esclusione di colpi per l’indirizzo dell’Europa, Parigi e Berlino hanno ripreso a cooperare attivamente. Consce che non ci sarebbe stata alternativa dopo l’evoluzione delle scorse settimane. Mai Parigi avrebbe potuto portare a casa ipotesi di un debito mutualizzato, vigilato da un proficuo piano di acquisti della Bce, se facendo asse solo con i Paesi mediterranei avrebbe permesso un compattamento dei “falchi” attorno alla Germania e, soprattutto, all’Olanda. E mai la Germania avrebbe potuto ottenere nei Paesi del Sud una reale sponda al primo, e sinora unico, piano di risposta alla crisi deliberato con certezza dall’Unione. Un piano che accanto a un’istituzione “espansiva” come la Banca europea degli investimenti e al fondo anti-disoccupazione della Commissione schiera anche il Meccanismo europeo di stabilità. Tre istituzioni, ça va sans dire, a guida tedesca, che Parigi accetta incassando, in seguito, una svolta espansiva sul Recovery Fund, ribattezzato Next Generation Eu, e l’ampliamento dei cordoni dell’Eurotower.
Rafforzando la dotazione del programma di acquisto di emergenza anti-pandemia (Pepp) di 600 miliardi di euro per un totale di 1.350 miliardi da marzo in avanti la Bce amplifica la svolta interventista e l’asse franco-tedesco ne esce corroborato. Da un lato Berlino si dimostra in grado di poter controllare il radicalismo pro-austerità dell’Olanda e dei Paesi della Nuova lega anseatica, ostili a un’eccessiva esposizione monetaria, a acquisti massicci o a solidarietà inter-europee di qualsiasi tipo senza farsi trascinare troppo oltre nel terreno del rigore, del resto tradizionale riserva di caccia della Germania. Dall’altra Parigi ottiene una minore rigidità per le sue politiche fiscali e ribadisce la sua posizione decisiva agli occhi dell’Italia, della Spagna e del resto dei Paesi ostili all’austerity, che senza l’interposizione della Francia di Macron difficilmente potrebbero spuntare concessioni sostanziali ai falchi.
Sia la Francia che la Germania hanno capito che la strada per la ripresa dalla crisi passa per un incardinamento di massicci programmi di spesa interna in un’architettura europea favorevole. Il fondo NextGen potrebbe rappresentare la quadratura definitiva del cerchio delle misure costruite da Parigi e Berlino: con la sua natura fortemente indirizzata al sostegno ai singoli progetti, e non direttamente ai bilanci statali, premierà le economie più “strategiche” dei maggiori Paesi d’Europa.
L’Italia, da questi sviluppi, spunta sicuramente l’ampliamento del raggio d’azione della Bce, subito riflessosi in una riduzione del premio al rischio dei titoli di Stato a breve termine ma deve preoccuparsi per la retrocessione nelle retrovie decisionali. Realisticamente anche l’Olanda e la Spagna, capaci di essere ascoltate con forza dai Paesi di testa dell’Unione, hanno sorpassato Roma nelle gerarchie, relegandola in terza fila: l’Europa è sempre più un affare franco-tedesco, e al governo del premier Giuseppe Conte difficilmente basteranno annunci di “vittorie politiche” a Bruxelles per negare questa realtà.