È di nuovo braccio di ferro in Libia per il controllo del petrolio, la principale fonte di sostentamento nell’ex Jamahiriya di Mu’ammar Gheddafi. Il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica noto in Italia per aver sequestrato per ben 108 giorni i 18 pescatori di Mazara del Vallo, ha lanciato un ultimatum: senza un nuovo (e più equo) sistema per la distribuzione dei proventi petroliferi entro il primo agosto, l’Esercito nazionale libico (Lna) fermerà i pozzi. Un blocco dalle conseguenze disastrose per la popolazione perché lo Stato sussidia tutto, dal pane al carburante, ma anche un problema per l’Italia. Secondo l’ultimo bollettino petrolifero del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, la Libia copre circa il 15 per cento delle importazioni di greggio: ad aprile sono stati acquistati 6,067 milioni di barili di prezioso petrolio “dolce” libico a basso contenuto di zolfo (quindi più facile da raffinare) a quasi il doppio del prezzo di mercato (fino a 120 dollari al barile).

La storia infinita

Secondo Leonardo Bellodi, professore aggiunto presso la Luiss Business School, la distribuzione dei proventi del petrolio in Libia è una storia infinita. “La Cirenaica si è sempre lamentata di ricevere meno di quanto meriterebbe. Gheddafi teneva a bada queste istanze, a volte con metodi poco ortodossi, che poi sono esplose quando è finito il regime. Già pochi mesi dopo la rivoluzione del febbraio 2011, il governo di transizione di Bengasi aveva presentato una proposta per un nuovo sistema di misurazione del petrolio. Ora abbiamo di nuovo questo problema con Haftar, ma non è la prima volta che minaccia il blocco della produzione”, spiega a InsideOver Bellodi, già vicepresidente esecutivo di Eni e consigliere senior della Libyan Investment Authority (Lia), il fondo sovrano libico.

Il bluff di Haftar

Le minacce del generale della Cirenaica potrebbero essere un bluff o, meglio ancora, un tentativo di avere più leva negoziale per il controllo della National Oil Corporation (Noc), l’ente petrolifero statale conteso da due potenti famiglie: gli Haftar a est e i Dabaiba a ovest. “Non mi aspetto che un eventuale blocco duri molto. Potrebbe trattarsi di una provocazione. Haftar si trova tra l’incudine e il martello: da un lato deve mostrare il pugno di ferro, dall’altro deve stare attento a non inimicarsi tutte le regioni della Libia, perché uno stop alle esportazioni avrebbe conseguenze in tutto il Paese”, afferma Bellodi. Prima del colpo di Stato del 1969, la Libia produceva fino a 2,8 milioni di barili di petrolio al giorno. Poi con Gheddafi l’output libico era sceso a 1,8 milioni di barili. Nei periodi più bui post-rivoluzione del 2011, la Libia era scesa sotto la soglia dei 200 mila barili al giorno. Ora il Paese membro del cartello petroliero Opec produce circa 1,2 milioni di barili al giorno, meno dell’1 per cento della produzione globale e circa il 7-8 per cento delle importazioni in Europa.

Il gioco della Russia

Secondo l’ex manager dell’Eni, un nuovo, possibile blocco del petrolio in Libia avrebbe uno scarso impatto al livello globale: “Sia perché il greggio libico è poco, sia perché il mercato del petrolio, al contrario di quello del gas, è liquido e particolarmente fluido”. Caso mai, aggiunge Bellodi, l’improvvisa mancanza del petrolio libico potrebbe spingere l’Europa a fare il gioco di Mosca. Pur essendo sotto sanzioni, infatti, il greggio della Russia finisce comunque nei mercati europei tramite triangolazioni con Paesi come Cina, India, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Singapore. “L’altro problema è domestico. Il 100 per cento del bilancio statale è costituito dai proventi della vendita di petrolio e gas. Siccome tutta la popolazione libica è sussidiata dallo Stato, un blocco potrebbe alimentare il disagio sociale e i moti all’interno del Paese”, spiega ancora il professore aggiunto della Luiss ed esperto di Libia.

E l’Italia?

Il petrolio libico, come detto, è particolarmente pregiato perché povero di zolfo. È considerato dagli addetti ai lavori un greggio “dolce” e particolarmente facile (e meno costoso) da raffinare. L’improvvisa mancanza di sei milioni di barili di petrolio spingerebbe l’Italia ad acquistare da altri mercati, ma allo stato attuale è difficile prevedere cosa accadrà. “Non vedo per l’Italia un problema di approvvigionamento, ma caso mai di prezzi. Se dovesse esserci questo blocco, bisogna vedere quanto durerà e quale sarà la reazione dei mercati finanziati e dei grandi trader. Non vedo un grande rischio di aumento dei prezzi alla pompa di benzina. Almeno per ora”, conclude Bellodi.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.