Angela Merkel è stata la protagonista della crisi europea del coronavirus, che l’ha rilanciata in Germania e nell’Unione come leader centrale e ha chiamato Berlino ad adoperarsi per testare la resistenza della sua leadership comunitaria di fronte alla prova della pandemia e della recessione.
Di questo la Cancelliera è conscia quando prende la parola per il suo discorso al Bundestag che precede il Consiglio europeo in videoconferenza in cui l’Unione si ritroverà d’accordo nell’essere in disaccordo sulle linee guida per il Recovery Fund. La forza della Germania, in questa crisi, è stata la centralità d’intermediazione che ha permesso a Berlino di dettare il cronoprogramma delle misure anti-crisi. In primavera la Merkel ha strappato il via a giugno del trittico Mes-Bei-Sure, lo stop agli eurobond e il rinvio al 2021 del Recovery Fund a cui ha poi attivamente contribuito a dare i connotati precisi; ora l’obiettivo è concludere la sua definizione in tempo utile per farlo diventare operativo in vista del nuovo bilancio Ue. La cosa migliore sarebbe se si raggiungesse un accordo prima della pausa estiva”, ha affermato la Merkel, chiedendo un compromesso per consentire la ratifica dell’intesa entro la fine dell’anno. “Dobbiamo agire in modo rapido e deciso”, ha aggiunto: secondo indiscrezioni, dopo le ultime sortite dei falchi del Nord e dei Paesi di Visegrad la Cancelliera sarebbe pronta a lasciare sul terreno parte dei 750 miliardi di euro proposti da Ursula von der Leyen in cambio di una pronta attivazione del Recovery Fund.
Su questo fronte la Merkel si troverà di fronte un leader a lungo alleato su diversi dossier: Mark Rutte. Il premier olandese ha iniziato da tempo una guerra di logoramento per difendere il principio del rigore contabile che la Germania ha popolarizzato e L’Aja ha applicato e difeso con zelo e impegno. Ora, pragmaticamente, la Merkel ha capito che la Realpolitik le chiede di recedere, mentre Rutte insiste nel tutelare le finanze pubbliche olandesi: dopo aver spinto sulla riduzione dei fondi d NextGen Eu, il premier olandese al termine del Consiglio Europeo ha buttato la partita sul piano temporale. “Non c’è nessun motivo per avere fretta. Nessun danno grave se non raggiungiamo un accordo a metà luglio. Va bene che altri paesi esercitino pressioni, ma ci concentriamo sul contenuto”. Il fronte del rigore, già scollatosi nei mesi scorsi, ha trovato una nuova frattura: ma il fatto che Rutte abbia dalla sua parte della Nuova lega anseatica (Danimarca e Svezia), l’Austria e, tramite sponda, i Paesi di Visegrad, lascia presagire lunghe trattative.
Alla Merkel il Recovery Fund serve per evitare di risultare destabilizzata dall’assalto alla diligenza dei falchi del rigore più radicali interni ed esterni al Paese da un lato e dalle critiche per il tradizionale cinismo tedesco nella governance europea dall’altro. La Merkel che parla al Bundestag è una sovranista europea che sa che per “Unione” si intende “Germania” laddove si parla di progetti di competitività globale per il post-crisi da costruire con programmi incentrati sulla comunità dei 27, spazio economico dominato da Berlino: “Vogliamo portare avanti la digitalizzazione dell’economia e della società. Per assicurare anche in futuro il successo economico dell’Europa e con esso la sua capacità d’azione, l’Europa deve acquisire una propria sovranità sia tecnologicamente che dal punto di vista digitale”. Su questi temi Berlino si è già portata avanti prendendo consapevolezza della dipendenza dai giganti tecnologici stranieri. Secondo la Cancelliera “la pandemia ha mostrato con grande chiarezza in quale stato di dipendenza si trovi l’Europa in campo digitale, sia per quello che riguarda la tecnologia, sia per quello che riguarda i servizi”.
Cosa centra con questo il Recovery Fund? Esso è l’assicurazione sulla vita per Berlino circa la tenuta dell’asse che guida i destini del Vecchio Continente, il duopolio (sbilanciato a suo favore) franco-tedesco con cui l’intesa va gradualmente costituendosi attorno a un patto di potere a tutto campo. Sia la Francia che la Germania hanno capito che la strada per la ripresa dalla crisi passa per un incardinamento di massicci programmi di spesa interna in un’architettura europea favorevole; e Berlino sa che inseguire il fantasma rigorista, incarnato dall’estremismo pro-austerità dell’Olanda e dei suoi alleati, ora come ora disgregherebbe il suo progetto geoeconomico. Se, come dice Merkel, “la pandemia è la sfida più grande della storia dell’Europa”, tra le righe bisogna leggere che l’egemonia tedesca è da presentare come l’usato sicuro da preferire al caos.
“L’Europa ha bisogno di noi come noi abbiamo bisogno dell’Europa”, aggiunge, sicura del fatto che nel Vecchio Continente nessuno oserà contraddirla: la Merkel ha posto in essere una cinica strategia volta a ridurre o a ritardare l’esposizione comune di Berlino mentre sul piano interno dava il via a profondi programmi di stimolo anticiclici contro la recessione. Il discorso al Bundestag rilancia il mantra della presentazione di questioni inerenti l’interesse nazionale tedesco come battaglie comune europee: la leadership della Germania non è stata indebolita dalla crisi del coronavirus perchè Berlino ha saputo non indentificarsi, come nel 2011-2012, con il fronte del rigore e dell’austerità più ottuso da lei del resto plasmato. Con un gioco machiavellico e confrontandosi con interlocutori di basso profilo politico, un esito diverso per le strategie della Merkel era difficile da attendersi. Non a caso, ora il principale avversario della Cancelliera è chi, come Rutte, a lungo ha militato nello stesso partito del rigore ed è esperto nelle tattiche di governo e controllo di un’Europa sempre più vittima di conflitti incrociati.