La Germania ha realizzato di avere un problema nel suo contesto economico dopo la pubblicazione dei dati primaverili sull’industria e la conseguente contrazione della produzione manifatturiera che rischiano di certificare l’ingresso del  Paese in recessione.

Angela Merkel è desiderosa di invertire la china e di finire con un record economico positivo nel 2021 la sua ultima esperienza di governo e, per farlo, deve in primo luogo mantenere in piedi quella “Grosse Koalition” moribonda con la Spd che appare il sentiero obbligato per proseguire la sua guida dell’esecutivo. Ma la grande coalizione traballa sotto i colpi della perdita di consensi, del tracollo della Spd, che in caso di ritorno alle urne si avvicinerebbe pericolosamente a percentuali in singola cifra, all’incertezza sulla linea politica da tenere e alla sfida della piattaforma ecologista del Partito Verde, ora accreditato come seconda forza politica del Paese dopo l’ottimo risultato delle europee.

La Merkel deve rivitalizzare l’economia e sfidare l’ascesa dei Verdi, che puntano su misure di transizione ecologica, sull’uscita accelerata dal carbone e dal nucleare, e intende giocare d’anticipo presentando, a settembre, un piano di investimenti ad ampio raggio che miri a rivitalizzare la produzione interna e a dare attuazione al programma di dismissione degli impianti carboniferi concordato a marzo scorso. “Il programma di fuoriuscita è composto da 336 pagine e contiene diversi punti salienti”, scrive Il Fatto Quotidiano. “Una revisione triennale degli obiettivi di riduzione dell’utilizzo del carbone è stata pensata per pianificare una graduale, ma perentoria, discesa dei consumi del combustibile fossile più dannoso per l’ambiente. Entro il 2022 dovranno invece essere chiusi circa un quarto degli attuali impianti, per un totale di circa 12,5 Gigawatt di potenza.”

Il dato più importante da rilevare è che il pacchetto di stimolo potrebbe portare Berlino per la prima volta da diversi anni a pensare all’eventualità di una spesa in deficit. L’austerità teutonica sta frenando la domanda interna e lo sviluppo del Paese, con effetti a catena su tutta Europa: tuttavia, per imporre una discontinuità al governo Merkel non resta altra scelta. Ancora più importante, le dimensioni attese della transizione e le necessità di ridurre il gap nell’accessibilità ad energia a buon mercato tra i ricchi Lander occidentali e le più povere regioni orientali impone una previsione di spesa ancora più ampia.

Secondo fonti governative tedesche interpellate da Reuters e citate da Repubblica, ” il governo deve sborsare almeno 40 miliardi di euro nei prossimi due decenni per aiutare le regioni più colpite ad affrontare l’uscita dal carbone. La volontà della Spd, inoltre, è quella di aiutare le famiglie a basso reddito ad attutire gli effetti di un’eventuale tassa sul carbone. E i costi per la lotta ai cambiamenti climatici ammonterebbero già ad ulteriori 30 miliardi di euro”, che il governo non dovrà far ricadere sulla grande massa della popolazione, come sembra in numerosi casi lasciar presagire l’agenda verde, non a caso maggioritaria nelle aree urbane ad alto reddito.

Da tempo il dibattito tra gli economisti tedeschi segnala la pericolosità della china intrapresa col mito dello “Schwarze Null”, il pareggio di bilancio: i surplus incassati dalla Germania dal 2014 ad oggi hanno alimentato il suo modello mercantilista e sottratto decine di miliardi di euro di investimenti produttivi al Paese. Un Paese che ora chiede risposte e dovrà affrontare una lunga transizione che sarà, inevitabilmente, dispendiosa: sarebbe suicida per la Cdu e Angela Merkel pensare di poterne sopportare i costi con tagli allo Stato sociale e alla spesa pubblica. Persino il governo tedesco ha un limite, nel suo sostegno all’austerità.





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