La Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) presentata recentemente dal governo Conte II per fornire alla manovra del 2021 la struttura di massima delle politiche che in essa saranno contenute. La prima componente della futura legge di bilancio promossa dal Tesoro di Roberto Gualtieri si fonda su due presupposti fondamentali: la previsione di un forte rimbalzo dopo il tonfo economico nell’anno della pandemia (-9% di Pil) e il contributo determinante dei finanziamenti europei per mobilitare la crescita economica e la riduzione del rapporto debito/Pil negli anni a venire.

Date queste premesse, il Tesoro prevede un +6% del Pil nel 2021, pure in un contesto di aumento della disoccupazione oltre il 10% e una crescita del Pil reale, nei due anni successivi, rispettivamente del 3,8 e del 2,5% in un contesto di ritorno a livelli pre-crisi dei consumi e dell’inflazione. Notare bene però il fatto che a sistema sia già stata data per assodata l’acquisizione di ben 203 miliardi di euro dall’Unione europea da qua al 2026. Per il prossimo triennio, in particolare, il governo ha messo a bilancio finanziamenti per 105,5 miliardi di euro, oltre il 5% del Pil pre crisi, di cui 95 da Next Generation Eu, 25 dei quali nel prossimo esercizio di bilancio. Eventualità ancora tutta da definire come concreta date le lungaggini che si stanno presentando nella negoziazione del Recovery Fund e un ben più concreto problema: quei fondi bisognerà saperli usarein coordinazione e non in sostituzione della politica di bilancio nazionale, degli investimenti strategici e della programmazione di lungo periodo.

Secondo l’economista liberale Mario Seminerio, curatore del blog Phastidio, la Nadef si può sintetizzare in un’espressione: “Andrà meglio, ma più avanti”: “nel più lungo periodo, però, conterà innalzare il tasso di crescita potenziale del Pil (la “pendenza”, oltre che il “livello”), e realizzarlo. Altrimenti, quando gli steroidi del Recovery Fund saranno venuti meno, ci sarà un pesante down che potrebbe anche avvicinarci al baratro, vista la quantità di debito che andremo ad assumere (verbo che non uso a caso) nei prossimi anni”. Seminerio non sembra assegnare un ruolo decisivo a regole come quelle dell’output gap contenute nel Patto di Stabilità europeo oggi sospeso, ma negli anni a venire saranno da tenere profondamente in considerazione anche eventuali ritorni di fiamma delle logiche austeritarie. Buona parte della critica è condivisibile: pensare al Recovery Fund come panacea e come “alibi” per sostituire la spesa pubblica nazionale che serve di suo a finanziare settori non toccati da NextGen (dall’istruzione alla previdenza, dalle missioni di pace ai fondi per la lotta alla disoccupazione) è fuorviante, così come lo è mettere a bilancio ingressi futuri di denaro sotto forma di sussidi o debito senza sapere quanto aumenterà il contributo italiano al bilancio Ue e, soprattutto, cosa fare di questo denaro.

Ma il piano di ripresa del governo italiano ha ricevuto forti critiche anche da sinistra. L’economista della Cgil Roberto Romano ha mostrato forti scetticismi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) presentato prima della Nadef alle Camere il 15 settembre e destinato a essere l’anticipazione della manovra, ritenendolo un “insieme di buone intenzioni condivisibili, ma avulse dalla reale situazione economica dei settori” su cui l’Italia promette investimenti in futuro: dalle infrastrutture al digitale, dall’ambiente al rilancio delle Pa. “Sostanzialmente”, nota Romano, “il Pnrr non indaga, prima, il posizionamento del tessuto economico rispetto ai pari livelli europei al fine di catturare i vincoli di struttura, e non può, dopo e inevitabilmente, predisporre le misure e le iniziative coerenti per aggredire e rimuovere i vincoli individuati”.

Il governo Conte ha avuto nel ritorno di fiamma del sensazionalismo e dalla tanto vituperata “annuncite” due punti di debolezza: l’annuncio della task force guidata da Vittorio Colao, la convocazione della passerella degli Stati Generali a giugno, i decreti che si sono susseguiti e, ora, la Nadef non hanno avuto alle loro spalle un’idea di Paese per il post-pandemia. Romano ha fatto notare le debolezze delle prospettive strategiche del Paese, Seminerio le acrobazie contabili e l’ingiustificato ottimismo delle stime governative. La manovra rischia dunque di essere un libro dei sogni, l’ennesimo dopo l’annuncio della decanatata “potenza di fuoco” primaverile e la speranza che le trattative europee avessero aperto a Roma le porte del Paradiso dell’Eden con l’approvazione di NextGen. E a pagare queste leggerezze è il Paese nel suo insieme.

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