Angela Merkel avrà alle spalle diversi scheletri nell’armadio e una sequela di errori senza fine nella gestione dell’economia europea da leader del Paese di riferimento, la Germania, ma sul tema della risposta alla crisi da coronavirus il suo esecutivo è stato, sino ad ora, decisamente brillante e preparato. Non solo la Germania ha rafforzato la sua centralità in Europa, mediando la nascita del Recovery Fund: sul piano interno la pandemia da Covid-19 ha portato, in campo economico, all’inevitabile superamento del paradigma austeritario in un’ottica di lungo periodo. Il governo tedesco ha sfondato sin da marzo i paletti sul deficit e ha recentemente annunciato che amplierà la spesa pubblica fino al 2024, demolendo il mito dello Schwarze null, il mantra del pareggio di bilancio.
A inizio agosto la manovra anti-recessione della Germania ammontava già all’8,5% del Pil, contro il 3,5% effettivo messo in campo dal governo Conte in Italia. Niente potenza di fuoco, problemi nella liquidità, scarsi investimenti, ritardi sull’emissione dei Btp, nemmeno una linea reale del governo giallorosso sul Mes e, da ultimo, l’assalto alla diligenza del Recovery Fund che prevede la presentazione di un elenco di progetti dal valore eccedente di tre volte la somma che Roma, tra prestiti e sussidi, avrà a disposizione nei prossimi sette anni: 207 miliardi di euro. Di contro la Germania ha posto in essere un piano chiaro di aiuti alle imprese e il rilancio degli investimenti strategici: agli oltre 200 miliardi di deficit messo in campo per l’anno in corso se ne aggiungeranno quasi 100 nel 2021, di cui 55 miliardi di investimento, e 48 miliardi fino al 2024.
All’Italia mancano, in proporzione, almeno 75 miliardi di euro reali, per ovviare a una perdita di Pil che anche stando alle più recenti, e migliori, stime, entro fine anno arriverà al 9%: ma a Roma sembrano non aver capito che la politica deve agire indipendentemente dall’attesa dei fondi europei. Secondo le stime della Bce, in sette anni l’Italia avrà un guadagno netto dai grants a fondo perduto del Recovery Fund pari a poco meno del 2% del Pil del 2019, ovvero una quarantina di miliardi di euro, pari a poco meno di sei miliardi per esercizio di media dal 2021 al 2027. Un po’ poco per immaginare la rinascita del Paese considerato, in aggiunta, il fatto che la zarina francese Celine Gauer, la super-commissaria posta alla guida del team formato da Ursula von der Leyen per analizzare i progetti e valutarne la compatibilità con il fondo Next Generation Eu (che prevede investimenti in sostenibilità, digitale, infrastrutture) non è disposta a far alcun sconto. E sullo sfondo si staglia la minaccia dell’utilizzo dei poteri del “freno d’emergenza” da parte dell’Olanda e dei Paesi frugali.
Il Recovery Fund può funzionare, dunque, solo se sostenuto da un’attenta programmazione nazionale degli investimenti a cui dare priorità e da finanziare, in primo luogo, con la forza del deficit pubblico: come sta facendo la Germania. Anche con un Btp che paga un tasso d’interesse maggiore a quello del Bund, l’Italia può finanziarsi agevolmente sul lungo periodo sfruttando la sostanziale tenuta dei suoi fondamentali e la sponda Bce, anche senza imbarcarsi in salti nel buio come il ricorso al Mes, che imporrebbe la retrocessione nella graduatoria di rimborso dei titoli ordinari, mettendoli sotto stress. Si idolatra da anni la Germania, ma quando la si dovrebbe seguire per davvero si fa diversamente: sorge quasi il dubbio che Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri non attendano altro che l’erogazione dei fondi europei per de-responsabilizzarsi sulle priorità politiche da dare al Paese. Poche voci nella maggioranza sembrano puntare su progetti mirati e realistici: ad esempio Emanuele Felice, responsabile economico del Pd, ha giustamente posto l’accenno sul rilancio di borghi e infrastrutture locali; Paola Pisano, ministro M5S dell’Innovazione, immagina una seria programmazione sul digitale. Ma a livello aggregato la maggioranza dei bonus a pioggia senza coordinamento ha annunciato molto e programmato poco, come dimostrano idee quali quella di Conte sul tunnel nello stretto di Messina e la proposta pentastellata di utilizzare, violando i termini del Recovery Fund, i sussidi europei per tagliare Iva e Irap.
Il paradosso, in questo contesto, è che le disponibilità del Tesoro sono ai massimi da anni e che il timore prospettato da Gualtieri in estate di una crisi di liquidità si è rivelato infondato. Anzi, è di tutta Europa il problema irrisolto di dove destinare la liquidità accumulata nel corso dei mesi del contagio. La battaglia contro il contagio economico rischia di trasformarsi in un ampio deserto dei Tatari, nella continua attesa di un intervento europeo risolutore. Alcune manovre, dalla semplificazione del sistema fiscale agli investimenti strategici, possono essere avviati in via ordinaria, come del resto il caso tedesco insegna. Anche perché i fondi europei, come ha notato giustamente Il Sole 24 Ore, non sono certamente assegnati in partenza: “Occorrono progetti adeguati e riforme vere, che passeranno al vaglio dell’Europa. E non saranno verifiche di poco conto. In proposito va ricordato un proverbio che fotografa molto bene la situazione: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, cioè occorre fare attenzione perché gli oltre 200 miliardi non sono affatto una certezza, dovremo guadagnarceli. Il fallimento economico dell’agenda politica post-crisi dell’esecutivo giallorosso non potrà essere compensato da qualche aiuto europeo se la politica nazionale non saprà cosa fare e non saprà scegliere priorità da portare avanti a prescindere da qualsiasi programma sovranazionale. La Germania, che pure del Recovery Fund sarà contribuente netto, ha dettato una linea chiara: sul deficit nazionale si può puntare. E contando che il patto di stabilità, secondo le ultime notizie, sarà sospeso dall’Ue anche per il 2021 si stenta a capire perché il governo Conte non osi di più.