“Penso che questa crisi sia una buona occasione di modernizzare il Patto di stabilità e di crescita, oggi sospeso”: la più recente presa di posizione della governatrice della Banca centrale europea Christine Lagarde è netta, le famose “regole” europee dovranno essere aggiornate e ristrutturate prima che la sospensione della loro validità per il 2020, decretata dalla Commissione, abbia fine.

Parlando a un pool di quotidiani europei tra cui il Corriere della Sera l’ex direttrice del Fondo monetario internazionale sottolinea che l’economia europea ha subito uno choc “notevole” dalla pandemia di coronavirus e dalla susseguente fase di acuta crisi produttiva, e si dichiara pronta a proporre misure alternative.

Da un lato, Lagarde difende l’operato dell’Eurotower dalle critiche arrivate dalla Germania tramite Corte costituzionale di Karlsruhe, sottolineando che il piano di acquisto emergenziale (Pepp) non crea asimmetrie tra gli Stati: “Il Pepp – ha dichiarato- è un programma di acquisti mirati e limitati nel tempo, che risponde a circostanze eccezionali. Anche le altre istituzioni europee hanno preso misure eccezionali in questa crisi”.

Per ora la Bce prevede una recessione europea dal 5 al 12% del Pil, ma le proiezioni parlando di uno schianto fino al 15% nel 2020. Questo, combinato ai colossali piani di stimolo messi in campo dai governi comporterà un aumento sensibile del rappotro debito/Pil in tutta Europa, con l’Italia che prevede un innalzamento fino al 160%. Secondo Lagarde tali interventi sono giustificati dalla presenza di una crisi senza precedenti: “dobbiamo farvi fronte con determinazione per aiutare le nostre economie a rialzarsi al più presto, in modo da evitare una crisi sociale”.

E in questo contesto si apre la discussione sulla riforma delle celebri “regole” europee che continuano a rimanere il totem dei più accesi sostenitori dell’Unione: il celebre limite del rapporto deficit/Pil (3%)  e quello del debito/Pil complessivo (60%) sono ritenuti i punti di riferimento per giudicare la stabilità di un Paese europeo, mentre l’Unione ha, fin dal trattato di Maastricht, stabilito anche complessi protocolli per vagliare ed eventualmente avviare procedure d’infrazione per deficit eccessivo contro i Paesi che non rispettano le prescrizioni del Patto di stabilità e crescita.

Il patto, nella sua forma attuale, sembra promuovere con scarsa energia sia la stabilità che la crescita: Il limite del 3%, in particolare, si applica alla spesa pubblica complessiva, non facendo distinzioni tra la spesa pubblica in deficit corrente e la spesa per investimenti pubblici, ricerca, sviluppo, infrastrutture, potenziamento della sanità. Diversi Paesi, per rispettare il limite del 3%, hanno diminuito gli investimenti pubblici o tagliato ricerca, istruzione, sostegno alla sanità. La Lagarde, che nel contesto dell’intervista ha difeso i piani emergenziali di acquisto della Bce, ritenuti più funzionali a creare crescita e sviluppo nell’Unione, riapre un dibattito già acceso in passato.

Basterebbero, sul patto, le parole di Guy Abeille, il giovane funzionario del governo francese di François Mitterrand che negli Anni Ottanta consigliò di fissare la soglia massima di rapporto tra deificit e Pil al 3% per consentire al presidente di opporre un limite economico alle richieste politiche più radicali della fazione più a sinistra del Partito socialista, riscuotendo un successo tale da vedere il parametro arbitrariamente promosso da regola francese a realtà europea nelle negoziazioni di Maastricht. Le regole riflettono una realtà di circa trent’anni fa: un loro sviluppo è a dir poco auspicabile. Certamente, per gli Stati ogni riforma dovrebbe avvenire nella garanzia che le misure promosse aiutino a sdoganare, e non piuttosto a contenere ulteriormente, la discrezione dei governi nella destinazione dei fondi pubblici di fronte all’Europa.