La guerra in Ucraina, le sanzioni alla Russia da parte dei Paesi occidentali, le fibrillazioni sui mercati energetici e le dinamiche a tutto campo di un mondo sempre più inquieto hanno profondamente cambiato, da fine febbraio, gli equilibri dell’economia globale. Tornata nuovamente a cambiare le carte in tavola nei rapporti commerciali, finanziari, geopolitici tra le maggiori potenze. Con una particolare attenzione alla sfida tra le valute dominanti.
Gli Stati Uniti e, in secondo piano, l’Europa hanno provato a usare l’arma valutaria per colpire Mosca sul fronte delle sanzioni. Dopo uno shock nelle prime settimane di guerra l’attività di difesa del cambio della Banca centrale russa guidata da Elvira Nabiullina e il mantenimento a pieno regime delle forniture di gas e petrolio russe all’Occidente, con conseguente entrata di riserve in valuta pregiata nelle casse di Mosca, hanno portato a un cambio di tendenza e al recupero del rublo. E oggi la sfida riguarda proprio la validità del dollaro come valuta di riserva degli scambi internazionali.
Molti Paesi, in giro per il mondo, si pongono un interrogativo: che fare nel caso in cui ci si trovi di fronte al rischio di veder congelate o condizionate le proprie disponibilità valutarie solo perché denomiante all’estero fuori dai confini nazionali? L’argomento è caldo e richiama al ruolo della moneta come determinante della fiducia. L’India, ad esempio, si sta muovendo per consoldiare la rupia; Mosca cerca, per ora con compromessi al ribasso, di spingere sulla vendita di gas e petrolio in rubli; ma chi si sta accorgendo di questa nuova necessità è la Cina, che con la guerra in Ucraina e il conseguente conflitto economico ha accelerato su una strategia volta a far guadagnare spazio al suo yuan.
- La battaglia politica sulla vendita del gas in rubli divide la Russia
- I petro-yuan della Cina sfidano il dollaro
- Perchè il rublo ha tenuto
Avevamo dato conto delle manovre di Pechino per trovare il suo “Sacro Graal” in campo energetico-valutario chiedendo all’Arabia Saudita di prezzare in yuan le forniture di greggio, rilanciando la strategia del Petro-yuan già accarezzata prima del Covid-19. E ora sembra che dalle parti di Riad si stia già pensando a promuovere tale mossa. “Gli esperti di geopolitica la ritengono una mossa non in grado di scalfire la supremazia del biglietto verde, ma di certo (considerando che l’Arabia ha un avanzo commerciale verso la Cina di 24 miliardi di dollari) lo yuan aumenterebbe di colpo la sua quota di mercato”, nota Il Sole 24 Ore.
Oggigiorno lo yuan è meno presente anche dell’euro, oltre che del dollaro tra le valute di riserva globali, stimato attorno al 5% contro il 58,81% del dollaro che, secondo stime Fmi, è comunque ai minimi da venticinque anni. Al contempo, il suo 2,8% nei pagamenti internazionali va letto anche in riferimento a un declino relativo del dollaro (40%) con cui però il paragone rimane, ad oggi, impossibile in quantità di dimensione delle transazioni. Vero è, in ogni caso, quanto afferma al Sole Alessandro Terzulli, capo economista di Sace, secondo cui per Riad vendere petrolio nella divisa cinese “per l’Arabia significherebbe incassare grandi quantità di yuan – osserva Alessandro Terzulli, economista di Sace -. A quel punto cosa se ne farebbe? O la valuta cinese diventa una mera diversificazione delle riserve per un Paese che vuole comunque mantenere il tasso di cambio ancorato al dollaro, oppure Riad in qualche modo deve impiegare quel denaro oltre al pagamento delle importazioni dalla Cina”.
Quanto sottolinea Terzulli è la chiave per capire il futuro della sfida valutaria e strategica tra le potenze che spingono la de-dollarizzazione e l’Occidente a guida statunitense. Andare oltre il dollaro per fare cosa? Questa è la domanda che molte potenze si pongono ora. La Cina ha la forza e il retroterra industriale per creare, nel corso degli anni, un sistema capace di coesistere con quello guidato dal biglietto verde, non di soppiantarlo apertamente. La Russia gioca di rimessa, al massimo si muove per difendere il perimetro del rublo e sopravvivere all’assedio economico occidentale sfruttando quello che finanziariamente si definirebbe un arbitraggio: la debolezza della moneta favorisce le esportazioni, la natura strategica dei beni esportati (risorse naturali, cibo, armi) e i mercati di riferimento (in larga misura europei ad alto reddito) garantiscono afflussi imponenti di valuta pregiata che consentono di difendere il cambio. Uno dei massimi analisti geopolitici russi, Sergej Karaganov, a inizio guerra ha dichiarato al Nikkei Asia Review di definire la Cina, in quest’ottica, uno “scudo” per Mosca, che negli ultimi anni è riuscita a diversificare le piattaforme di pagamento interno e il legame del rublo ai mercati internazionali, ora di fatto mediato dall’oro.
Per Il Sole “quello che emerge da tutte queste tessere del puzzle non è la crisi del dollaro. Neppure l’emersione di altre valute “antagoniste”. Quello che emerge è la frammentazione dei sistemi, con tanti “micro-regni” che tentano di crescere in un mondo sempre più polarizzato”. Ad oggi per le valute dei grandi antagonisti degli Usa la domanda sulle strategie poste da Terzulli resta, di fatto, senza risposta immediata, ma potrà averla se in questa situazione di “regni combattenti” la Cina vorrà consolidarsi su una trincea in cui lo yuan controllerà il 10% circa di riserve e pagamenti su scala mondiale e se continuerà ad esserci il grande assente geopolitico di questa partita, l’euro. Schiacciato nel grande gioco valutario e paradossalmente danneggiato proprio dal decoupling tra Russia e Occidente che, col blocco dei pagamenti Swift per le banche russe, frena diversi contratti denominati nella divisa europea siglati da Mosca e altri attori. Tra cui, guardacaso, proprio gli ultimi accordi energetici russo-cinesi. Finché l’euro, secondo attore valutario globale, non avrà un retroterra geopolitico la grande sfida valutaria sarà sempre anarchica e decentralizzata. E la marginalizzazione può spingere euro e Europa a un totale appiattimento sul biglietto verde senza possibilità di cambiare le carte in tavola.