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Oro, argento e vaniglia. Ma non in quest’ordine. Perché ormai la seconda spezia più pregiata del mondo (dopo lo zafferano), con cui i pasticcieri aromatizzano le nostre creme e i nostri gelati e i profumieri le nostre eau de toilette, vale anche 600 dollari al chilo, più dell’argento. Comunque dieci volte di quanto costava qualche anno or sono. Colpa del clima estremo, della siccità cattiva e dei cicloni che colpiscono spesso il Madagascar, il Paese dove viene coltivata la maggior parte di quel particolare tipo di orchidea il cui baccello fornisce questa meravigliosa spezia. La grande isola nell’Oceano Indiano – la quarta più estesa della Terra – produce tra il 75 e l’80 per cento della vaniglia del mondo, e gli altri Paesi specializzati come la Giamaica e il Messico (di cui la vaniglia è originaria) non sono in grado di compensare eventuali flessioni produttive malgasce. Forse lo saranno tra qualche anno l’India e la Cina, due potenze globali arroganti e rampanti che si sono affacciate di recente nel mercato della vaniglia attratti dall’alta redditività. Ma per ora chi vuole sentire il profumo delicato della vaniglia deve volgere il proprio naso al Madagascar, dove il raccolto dello scorso anno è andato per la più parte distrutto. Al punto che importanti chef di tutto il mondo hanno cambiato la loro carta dei dolci eliminando tutti i dessert che contenessero la pregiata essenza.

Trema il Madagascar. E tremano i golosi di mezzo mondo. È la crisi della vaniglia, la conseguenza agra della sostanza più dolce, la cui scarsità favorisce la deforestazione, arma i briganti e spinge i produttori a difendersi come possono. Raccontano le cronache di questo angolo di mondo che ad Anjahana, un villaggio costiero nel cuore dell’area produttiva, una banda di ladri di baccelli resa spavalda da precedenti fortunati assalti ha avuto la protervia di annunciare pubblicamente un’ennesima razzia. Il risultato è stato che i banditi sono stati attesi da un gruppo di agricoltori armati fino ai denti e trasformati dalla disperazione in giustizieri e sono stati massacrati. Una battaglia vinta in modo cruento dai coltivatori, ma la guerra va avanti.

Il 2018 è iniziato all’insegna dell’incertezza. I coltivatori sono con il fiato sospeso in attesa di sapere se il raccolto di orchidee sarà copioso. In primavera c’è la fioritura, poi crescono i baccelli e a giugno si tirano le somme del lavoro di un anno. Per molti un raccolto deludente vorrà dire la disperazione, un ulteriore aumento dei prezzi e della tensione sociale nei territori di produzione, che si trovano nelle zone più remote e depresse del Madagascar, nuovi assalti dei ladri. E anche i buongustai sono in ansia. L’anno scorso molte gelaterie artigianali e industriali in tutto il mondo hanno deciso di non produrre il gelato a quel gusto per la difficoltà ad approvvigionarsi di baccelli a prezzi sostenibili. Certo, esiste la possibilità di riprodurre sinteticamente la vanillina, che è la molecola che dà alla vaniglia il suo caratteristico odore, ma molti produttori anche importanti come Unilever e Nestlè da anni sono impegnati a impiegare solo aromi naturali nei loro prodotti. La soluzione potrebbe essere lo sviluppo della produzione di vanillina sintetica a base biologica a partire dalla lignina, laddove la maggior parte della vanillina sintetica è sintetizzata dai precursori del guaiacolo e dell’acido gliossilico. Comunque una sconfitta e un abbassamento della qualità.

Gli effetti collaterali della «vanilla crisis» sono violenze, speculazioni, perfino instabilità politica. Da un lato c’è un mercato globale scarsamente regolamentato, che favorisce gli affaristi, dall’altro un ceto politico che non riesce (o non vuole) arginare traffici al limite della legalità. I più spregiudicati speculatori alla vaniglia sono i contrabbandieri di palissandro, il legno che deriva da un albero il cui abbattimento è fuorilegge in Madagascar da qualche anno. Naturalmente questo divieto ha arricchito coloro che gestiscono il traffico illegale di palissandro e che contano sulla lautamente remunerata complicità di politici locali. I trafficanti hanno preso a riciclare i lauti guadagni per fare incetta (legalmente) dei baccelli di vaniglia non ancora maturi, per poi conservarli in confezioni sotto vuoto e aspettare che il loro prezzo salisse adeguatamente per commercializzarli. Conseguenza? Prezzi alle stelle e qualità sotto gli standard minimi. «È un dato di fatto che la vaniglia viene usata per riciclare il denaro ricavato illegalmente dalle vendite di palissandro – dice sconsolato al Guardian Harisoa Ravaomanalina, specialista in anatomia del legno all’Università di Antananarivo -. Dietro c’è una potente mafia vicina al nostro governo».

A difendere i produttori onesti ci sono organizzazioni non governative come Fanamby, che incoraggia gli agricoltori a produrre vaniglia sostenibile e tracciabile. Una scelta etica minacciata dalla crisi e dalle lusinghe dei contrabbandieri. A che scopo correre dei rischi affrontando un mercato instabile quando c’è chi compra i baccelli presto e a buon prezzo pure se con soldi sporchi? Fanamby sta così cercando di sensibilizzare la comunità internazionale perché agisca in modo che il mercato globale non punisca i produttori «fairy», accettando un prezzo più alto. Ma i segnali non sono buoni. «Gli agricoltori – spiega sconsolato Serge Rajaobelina, di Fanamby – hanno paura, quindi stanno raccogliendo presto. Ciò significa che la bolla di vaniglia aumenterà perché c’è una forte domanda, bassa produzione e bassa qualità».

Andrea Cuomo