Il grano è vita per l’Ucraina. Ne rappresenta una fonte cruciale di introiti per l’export e per la prospettiva di acquisire valuta pregiata. Ne rappresenta, al contempo, un simbolo di autonomia e indipendenza, a maggior ragione oggi che è in corso la lotta esistenziale con la Federazione Russa. L’attacco russo alle zone fertili dell’Est del Paese, il ricordo della tragedia dell’Holodomor in cui la carestia fu portata tra il 1932 e il 1933 nel Paese proprio dalla privazione del grano ad opera delle autorità sovietiche e le sfide aperte dalla precaria intesa mediata dalla Turchia sui flussi a Odessa hanno portato, materialmente e simbolicamente, il grano di Kiev al centro del dibattito politico.
Di recente si è aggiunta la “battaglia del grano” che ha diviso l’Europa. Portando a dilemmi sul sostegno incondizionato all’Ucraina anche nella popolazione di “falchi” anti-russi come la Polonia. Grain with pain, “grano con dolore”, ha scritto Politico.eu usando un gioco delle parole che possiamo descrivere come “grano della discordia“. Tanto divisivo da far mettere in discussione ciò che fino a poche settimane fa appariva scontato, cioé una corsia preferenziale sul futuro accesso dell’Ucraina nell’Unione Europea a guerra finita. Da molti ritenuta come prospettiva più facile e auspicabile dell’ingresso di Kiev nella Nato. E strategia funzionale anche a una lotta dell’Italia per un’Europa più equa e antiausteritaria.
Tuttavia, la decisione dell’Unione Europea di importare il grano ucraino senza tariffe doganali quest’anno ha creato contraccolpi nei vicini occidentali di Kiev. Alla scontata opposizione dell’Ungheria, “guastatore” dell’abbraccio tra Ucraina e Occidente, si sono aggiunte le ben più amichevoli Polonia e Slovacchia. Il motivo? La percepita concorrenza sleale denunciata da molti agricoltori dei tre Paesi per l’ingresso del più economico grano ucraino, venduto per svuotare depositi e fare cassa e non daziato. Toccare una minima tariffa in contesti dove le protezioni sui beni extra Ue toccano per grani e derivati livelli dal 10 al 25-30% sconvolge i mercati. E non è bastata ai contadini dei tre Paesi l’indennità di 60 milioni di euro concessa da Bruxelles per i danni subiti.
Il problema è di prospettiva. E ha a che fare con il principale tema che un’Ucraina nell’Unione Europea imporrebbe di affrontare: lo sconvolgimento che causerebbe alla Politica Agricola Comune (Pac) in cui l’Ucraina, per l’attuale concezione dei sussidi che premia i fondi per la loro dimensione, sarebbe un ricevente ben più che netto. “Nonostante la guerra, l’Ucraina continua a classificarsi tra i principali esportatori mondiali di mais, grano, girasoli e altri cereali, oltre che di pollame“, ricorda Politico.eu. “Se l’Ucraina dovesse diventare membro dell’Ue domani, otterrebbe di gran lunga la fetta più grande di denaro dalla Politica agricola comune da 386 miliardi di euro, che premia i Paesi in base alla loro superficie agricola. I suoi terreni agricoli coprono un’area più grande di tutta l’Italia. E l’azienda agricola media si estende su mille ettari, rispetto ai soli 16 ettari dell’Ue attuale”.

In quest’ottica, questo influenzerebbe anche le allocazioni finanziarie di tutti gli strumenti ulteriori che toccano complessivamente 1,2 trilioni di euro sul settenato 2021-2027. Questo toccherebbe nel profondo ogni struttura di bilancio comunitaria, mettendo a rischio anche i fondi di coesione che oggi rappresentano il volano principale con cui i Paesi dell’Est Europa si finanziano. E si aggiungerebbe a una conta dei sussidi diretti e indiretti già erogati dal bilancio Ue (pari a oltre 40 miliardi di euro in un anno di guerra) e ai fondi per la ricostruzione destinati ad arrivare nel Paese invaso. Drenando dunque una cifra annua di risorse europee pari a decine di miliardi di euro l’anno in direzione dell’ex repubblica sovietica.
L’immagine di un’agricoltura ucraina super-sussidiata dalle regole Pac, con prodotti capaci di concorrere senza barriere doganali con i parigrado europei e favoriti dal basso costo del lavoro del Paese terrorizza i governi dell’Est che a parole si professano oltranzisti nel sostegno al Paese invaso. Non senza ragioni politiche, va detto.
Questo mostra quanto proprio le nazioni che oggi spingono di più per avere Kiev nella Nato potranno essere paradossalmente le più restie ad accoglierle nell’Ue. E parliamo della stessa “nuova Europa” ex comunista che ama l’idea di armare l’Ucraina per colpire la Russia ma trema di fronte all’ipotesi della sua competizione agricola. Del resto, la Pac, elefante nella stanza dei fondi europei, copre il 33% del bilancio comunitario in forma disfunzionale. Follow the money: molti Paesi sono pronti a “morire per Kiev”, almeno a parole, quando si tratta di scendere in campo. Ma guai a toccare i sussidi europei che finanziano la crescita economica dell’Est. Vero scoglio che il processo di adesione dell’Ucraina dovrà doppiare. E che le ultime settimane ci insegnano di difficilissimo superamento.