L’Euro rischia di essere fortemente danneggiato dalla contingenza macroeconomica legata alla “guerra del gas” scatenata dalla Russia. Il Financial Times guardando all’immediato effetto economico della decisione di Vladimir Putin di interrompere le forniture di gas a Polonia e Bulgaria perchè non si sono adeguate alla richiesta di pagamenti in rubli segnala che gli effetti a cascata possono colpire duramente l’Europa: “I prezzi del gas salgano dopo che la Russia chiude il rubinetto”, apre il quotidiano della City di Londra. Il giornale sottolinea da quando è iniziata la guerra in Ucraina si tratta della mossa più dura del Cremlino “per attaccare l’Europa nella dipendenza dai suoi combustibili fossili”, e che l’Ue l’ha denunciata come un “ricatto”. Il risultato è stato comunque un aumento del 10% del prezzo del gas, dopo che i futures europei erano arrivati a toccare il +20%. “Oggi il gas costa sei volte di più rispetto a un anno fa”, sottolinea il Ft. Con un effetto anche sul mercato valutario, dove l’euro ha perso terreno nei confronti del dollaro, ed è scivolato ai minimi da 5 anni.
L’Euro nella tempesta
La guerra in Ucraina accelera dinamiche strutturali che si accumulavano da tempo e hanno a che fare, sostanzialmente, con l’anticipazione della ripresa Usa rispetto all’Europa nella fase post-pandemica e con la destrutturazione delle catene del valore globale, su cui la “bomba” della crisi energetica, della tempesta dell’inflazione e del conflitto è esplosa.
“Tutto” per Il Sole 24 Ore “nasce dall’inflazione, che negli Stati Uniti ha raggiunto l’8,5% e in Eurozona il 7,5%”. Per il quotidiano di Viale Sarca il fatto che i numeri siano simili va di pari passo con quello che “le cause sono però molto diverse tra le due sponde dell’Atlantico”. Essenzialmente Washington scarica i costi dell’inflazione sul resto del mondo sfruttando l’adesione dell’Unione Europea alle sanzioni e il risiko finanziario mentre “in Europa – secondo i calcoli di Intesa Sanpaolo – due terzi dell’inflazione che eccede l’obiettivo Bce del 2% sono causati dal rincaro dell’energia”, dunque rappresentano una quota importata per la dipendenza esterna del Vecchio Continente. Al contrario negli States “la componente energia ha causato solo un terzo del rincaro, mentre la parte più pesante è costituita dall’aumento del prezzo delle automobili. Inoltre negli Usa il mercato del lavoro è ben più solido e i salari salgono. Queste diverse inflazioni” hanno causato differenti reazioni delle due banche centrali in Usa ed Eurozona” che ad oggi vedono in affanno l’Europa.
Sostanzialmente in America l’economia ha rischiato di surriscaldarsi per la reazione economica delle amministrazioni Trump e Biden che ha permesso di superare di slancio la crisi economica da Covid-19, ma ha al tempo stesso dilatato enormemente i cordoni della borsa, del deficit e dell’esposizione finanziaria. In Europa invece l’alta inflazione si somma alla stagnazione in una fase in cui la Banca centrale europea è spiazzata essendo il “pallino del gioco” passato alla Federal Reserve, che pure si muove in terra incognita per la scarsezza di certezze sul futuro andamento di mercati e prezzi.
In questo contesto l’euro si trova in una trappola: subisce lo scaricamento dell’inflazione Usa per la stretta monetaria di Washington, a cui la Bce non può accodarsi per la fase di crisi; è depotenziato come valuta di scambio internazionale dal fatto che la Russia non lo utilizza più come alternativa al biglietto verde; si svaluta in una fase in cui più del volano alle esportazioni dato dal calo del valore della moneta conta il fatto che questo rende le importazioni, in primis quelle dalla Russia, più onerose. Il cambio euro-rublo ha subito riassorbito la fase di svalutazione della moneta russa proprio per il continuo pagamento di una costosa bolletta quotidiana a Mosca per forniture energetiche sempre più onerose, che finanziano la guerra di Putin, e nella giornata del 26 aprile si è attestato a 76,79 rubli per un euro: dal 6 marzo 2020, giorno in cui l’ombra dei lockdown da Covid-19 iniziava a stendersi sull’Europa, non c’era un rapporto così favorevole a Mosca. In sostanza dal massimo cambio (144,24 rubli per un euro) dell’11 marzo ad oggi, in un mese e mezzo, il rublo ha guadagnato il 46,76% del valore sull’euro. E chi si rafforza è il dollaro.
Premiato come valuta di riserva degli scambi globali, di fatto in grado di staccare l’euro suo principale sfidante, valorizzato nel contesto geopolitico dall’appiattimento europeo alle sanzioni Usa il dollaro può essere il vincitore della fase in corso se gli Usa non si faranno prendere dalla bulimia della “militarizzazione” della finanza in senso sanzionatorio e antirusso. Su Il Giornale a inizio conflitto raccontavamo di come questa dinamica potesse esplodere se l’Europa non avesse, in tempo, sfruttato l’euro per potenziare la sua posizione nel quadro delle forniture energetiche e nella gestione della volatilità economica imposta dalla guerra. Ponendosi in secondo piano rispetto al dollaro e depotenziando la forza economica dell’Ue. Così, ad ora, è accaduto. L’incertezza sulle forniture energetiche e la guerra economica di Putin hanno fatto il resto, mentre le sanzioni europee rimbalzano su chi le ha imposte: e per l’Europa il rischio di essere vaso di coccio tra la dipendenza dalla Russia che ne aumenta la bolletta quotidiana e lo strapotere del dollaro che depotenzia la forza dell’euro e rende più costosi gli approvvigionamenti si fa concreta. Con un circolo vizioso di difficile rottura.