Le sanzioni alla Russia saranno efficaci o no? Non lo possiamo sapere, considerando che Mosca ha imposto la censura sui dati macro-economici. Molto semplicemente, dalla fine di aprile, lo Stato russo ha smesso di divulgare le statistiche sul debito, sul commercio, sulla produzione di petrolio, mentre la Banca centrale ha limitato la pubblicazione delle informazioni finanziarie che le banche locali devono pubblicare periodicamente.

Sappiamo però quante aziende se ne stanno andando dalla Russia, cessando di erogare servizi alla clientela locale e chiudendo sedi e negozi su tutto il territorio nazionale. Aveva fatto scalpore la fuga di McDonald’s che aveva aperto il suo primo ristorante a Mosca il 31 gennaio 1990, provocando una delle code di clienti più lunghe della storia e divenendo involontariamente il simbolo del disgelo e della fine della guerra fredda. Meno simbolica, ma altrettanto efficace per far comprendere la situazione, è la partenza di un altro marchio iconico dell’Occidente: la Nike leva le tende dalla Russia per non tornare mai più. L’annuncio è stato diffuso il 23 giugno dopo tre mesi di sospensione “temporanea” di tutte le attività nel Paese. “Nike ha preso la decisione di lasciare il mercato russo. La nostra priorità è quella di assicurare che sosteniamo pienamente i nostri impiegati, mentre responsabilmente ridurremo le nostre operazioni nei prossimi mesi”.

Il marchio famoso in tutto il mondo per l’abbigliamento sportivo, si unisce alla lunga lista di circa mille multinazionali che si sono già ritirate, fin dai primi giorni di conflitto. Apple, Google, Netflix, Amazon, Disney, Lego, Ikea, H&M, Bp, Shell, Maersk, Volvo… tutte le sigle e i nomi che caratterizzano la nostra vita quotidiana, in Russia non ci sono già più.

La Nike gestiva direttamente 50 negozi, la metà dei quali già chiusi nei mesi scorsi. Quelli che vendevano in franchise erano altri 37 e da maggio il colosso americano sta chiudendo tutti i contratti con loro. Per la Nike si tratta di una perdita leggera, considerando che la Russia e l’Ucraina assieme costituivano circa l’1% della sua clientela globale.

Assieme a Nike, anche Cisco System (informatica) annuncia la chiusura di tutte le sue attivitĂ  in Russia e in Bielorussia. Aveva interrotto le vendite e i servizi giĂ  da marzo, ma, come la Nike, il 23 giugno ha annunciato la sua uscita definitiva dal mercato russo.

Il motivo della fuga, oltre alla guerra, è anche la previsione di nuove leggi punitive che la Duma sarebbe in procinto di votare, contro le compagnie straniere che decidono di lasciare il mercato nazionale. Secondo fonti della Reuters la nuova normativa darĂ  allo Stato “ampi poteri per intervenire dove c’è una minaccia per i posti di lavoro o l’industria locali, rendendo piĂą difficile per le aziende occidentali districarsi rapidamente a meno che non siano pronte a subire un grosso contraccolpo finanziario”. La legge permetterebbe alle autoritĂ  di nominare nuovi amministratori per le compagnie di Paesi “ostili” (un lungo elenco che include quasi tutte le democrazie occidentali, Italia inclusa), se queste mostrano la volontĂ  di lasciare il Paese in conseguenza del conflitto in Ucraina. Di fatto, Mosca si prepara a nazionalizzare chiunque voglia andarsene. Come ha fatto con quel che resta di McDonald’s, che è diventato Zio Vanja.

In questo modo, una Russia sempre più lontana dall’Occidente cerca di trattenere le aziende e salvare posti di lavoro soprattutto, oltre che punire i proprietari. Ma quel che sta ottenendo è un’accelerazione della fuga degli investitori. La Nike era una di quelle compagnie che erano rimaste nel limbo, con le attività sospese, ma non chiuse. Ora se ne andrà per sempre. E un atteggiamento così nazionalista nei confronti degli imprenditori stranieri scoraggerà, molto probabilmente, anche investimenti futuri.

Insomma, la Russia, al di là delle illusioni autarchiche, sarà sempre più obbligata a guardare ai suoi partner asiatici, la Cina e l’India soprattutto, per la sua futura ripresa post-bellica. Anche se deve tenere conto del fatto che le stesse India e Cina vendono soprattutto sul mercato occidentale e da esso dipendono, per la loro crescita.





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