Le più recenti rilevazioni sembrano segnalare un continuo incremento del fenomeno del land grabbing, l’accaparramento di terre di Paesi in via di sviluppo da parte di multinazionali o singoli Stati emergenti, attività costante nell’era della globalizzazione che ha reso anche l’agricoltura e il cibo oggetto di precise dinamiche geopolitiche. Il land grabbing si inserisce nel più ampio contesto della smaterializzazione transnazionale della catena logistica del mercato agroalimentare e del crescente dibattito sulla “sovranità alimentare” dei Paesi meno sviluppati, messa a repentaglio da fenomeni di questo tipo che marginalizzano comunità stanziate su terreni produttivi da decenni o secoli, trasferendone la proprietà senza chiedere, in molti casi, il loro consenso.
L’allarmante rapporto di Coldiretti sul land grabbing
Focsiv, la federazione dei volontari nel mondo e Cidse, l’alleanza delle Ong cattoliche internazionali, hanno realizzato in collaborazione con Coldiretti il report “I padroni della Terra”, presentato nelle scorse settimane a Bari al Villaggio Contadino, nel quale si legge che “l’accaparramento di terre fertili, è andato in crescendo a danno delle comunità rurali locali; a perpetrarlo Stati, gruppi e aziende multinazionali, società finanziarie ed immobiliari internazionali che in questi anni hanno acquistato o affittato 88 milioni di ettari di terre in ogni parte del mondo, un’estensione pari a 8 volte la grandezza dell’intero Portogallo o tre volte quella dell’Ecuador.La maggior parte dei contratti conclusi, trasnazionali e nazionali, riguardano gli investimenti in agricoltura, ripartiti in colture alimentari e produzioni di biocarburanti, a seguire lo sfruttamento delle foreste e la realizzazione delle aree industriali o turistiche”.
Il rapporto si incentra sullo iato tra l’applicazione di un modello di produzione e consumo che accaparra risorse per sfruttarle senza riguardo delle comunità locali, in nome di interessi valutati più rilevanti, siano profitti a breve termine o la necessità di assicurare continuità agli stili di vita dei Paesi ricchi, e le prospettive future degli Stati che del land grabbing sono le prime vittime: tra questi “vi sono, soprattutto, i paesi impoveriti dell’Africa, come la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan, il Mozambico, la Repubblica del Congo Brazaville e la Liberia, mentre in Asia il paese più coinvolto è la Papua Nuova Guinea”.
I Paesi che guidano la corsa al land grabbing
Tra i maggiori Paesi acquirenti si segnalano nazioni occidentali come Usa (leader con 10 milioni di ettari accaparrati dal 2000 ad oggi), Regno Unito e Olanda, Stati in forte crescita come India, Cina e Malesia, ma anche Paesi che fungono esclusivamente da basi per i capitali erratici destinati agli Stati in via di sviluppo: Singapore, Isole Cayman, Liechtenstein e Mauritius, ad esempio.
Inoltre, come ricordato dal Servizio Informazione Religiosa, “anche l’Italia ha investito un milione e 100 mila ettari con 30 contratti in 13 Stati, la maggior parte dei quali sono stati effettuati in alcuni Paesi africani ed in Romania; in generale le imprese italiane investono principalmente nell’agroindustria e nel settore energetico, in particolare biocombustibili”.
Gli obiettivi del land grabbing
I protagonisti di questa espansione sono governi di Paesi che vogliono garantirsi l’approvvigionamento alimentare, esternalizzando la produzione di cibo. Come spiegato da Andrea Stocchiero, tra i principali autori del report, a La Stampa, tra questi si segnalano “gli Stati petroliferi che con i loro fondi sovrani affittano terreni in Africa ed Asia […] governi di Paesi ricchi ed emergenti ed imprese multinazionali, che investono per aumentare le produzioni di monocolture intensive (mais, soia, olio di palma, canna da zucchero, ma anche prodotti agricoli per la trasformazione in biocarburanti) a costi bassi e destinate al mercato internazionale […] e società finanziarie che vedono e trovano sbocchi redditizi per i loro capitali”.
Sulla scia di queste dinamiche, si consolida l’appiattimento del vitale business agroalimentare nelle mani di pochi attori di grandi dimensioni, come denunciato dall’economista Raj Patel nel suo saggio I padroni del cibo, e nel mondo della globalizzazione molte nazioni che anelano a connettersi al mondo potrebbero cadere vittima dello storico spettro dell’insicurezza alimentare. Il land grabbing segnala un fenomeno di più ampia portata e ricorda che la prima sfida della sostenibilità si gioca nel campo agricolo, in quanto l’impoverimento di ampie comunità vittime della cessione delle loro terre rischia di generare ampie ripercussioni sul fronte politico, sociale e, cosa da non scordare, migratorio.