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Il combinato disposto tra crisi energetica, rafforzamento dell’inflazione e crisi industriali spingerà la Germania verso la piena recessione? L’allarme di alcuni dei principali think tank economici tedeschi sembra confermare il fatto che la stagnazione di Berlino possa presto trasformarsi in una vera flessione economica.

L’Ifo Institute, uno dei più noti istituti di ricerca del Paese, si dice preoccupato perché il rallentamento della prima economia europea potrebbe essere solo all’inizio. Le previsioni attuali dell’Ifo lasciano presagire un calo del Pil dello 0,2% e dello 0,4% nei due trimestri autunnali e invernali nel periodo compreso tra settembre e marzo. Il Kiel Institute for the World Economy (IfW), uno dei più importanti in Europa, prevede nelle sue analisi, parla addirittura del rischio stagflazione per il 2023, a causa del combinato disposto tra un calo dello 0,7% del Pil e di un aumento dell’inflazione, nonostante tutti gli interventi della Banca centrale europea, dall’8,1% al 9,3%.

Sarebbe la seconda recessione in un triennio dopo quella pandemica del 2020, ufficializzata ai tempi nel mese di aprile. E come allora, le stime caute della regressione economica identificata inizialmente potrebbero essere destinate a amplificarsi mese dopo mese. L’economia industriale della Germania è sostanzialmente fondata su un novero ristretto di settori ad alto valore aggiunto per le imprese e alta produttività, anche per la stagnazione dei salari, soprattutto a causa dell’elevata proiezione per l’export di settori come l’automotive, la petrolchimica, la meccatronica. Il rischio di un effetto-contagio amplificato dalla crisi energetica e dai lockdown produttivi potrebbe portare decine di migliaia di lavoratori a perdere il posto di lavoro e a incagliarsi nelle secche del debole welfare e delle indennità di breve periodo del pacchetto Hartz.

L’aumento della disoccupazione di ben 50 mila unità nel prossimo anno è, anche nello scenario base, identificato come sostanzialmente inevitabile per l’economia tedesca. E un calo dell’occupazione sarebbe una potenziale causa di un’ulteriore spinta depressiva per i redditi delle famiglie che cagionerebbe notevoli danni al Paese colpendo la stabilità economica, i consumi e, di conseguenza, la domanda aggregata del sistema-Paese tedesco.

Questi scenari ad oggi, peraltro, non interiorizzano la minaccia di uno stop delle forniture del gas russo: gli economisti del Meccanismo Europeo di Stabilità hanno di recente sottolineato per la Germania una recessione del 2,5% in caso di interruzione delle forniture del gas russo, ma gli scenari sui prezzi dell’oro blu da parte di altri esportatori verso l’Europa come la Norvegia lasciano presagire che anche l’effetto-sostituzione sarà pagato con forza da chi, come la Germania, soffre per la necessità di procurarsi all’estero le sue fonti primarie di approvvigionamento.

Viene da chiedersi perchè Berlino in quest’ottica insista con politiche macroeconomiche che dichiarano di fatto l’emergenza nazionale, rifiutando la privatizzazione del 15% di quota in Commerzbank, aprendo linee di credito sui colossi energetici in crisi e sostenendo l’economia, mentre in campo europeo contraddice sé stessa e le sue necessità. La scelta del ministro Christian Lindner, titolare delle Finanze, di riaprire al Patto di Stabilità e quella del membro tedesco del direttorio Bce, Isabel Schnabel, di sostenere l’aumento dei tassi oltre la quota decisa dall’Eurotower all’1,25% contraddicono le necessità del Paese. “Meno credito, meno investimenti e consumi, tassi sui mutui più alti, aumento del costo di rifinanziamento degli Stati”: così l’analista Luigi Pandolfi ha sintetizzato le conseguenze delle scelte di Berlino. “Con ironia, potremmo parlare di contropartita per un surriscaldamento dell’economia che non c’è”, ha commentato. Tali prese di posizione sono a maggior ragione più difficili da capire per il fatto che arrivano dopo lo stop a tempo indefinito del gasdotto Nord Stream e dopo che Standard & Poor’s, nel suo ultimo report dedicato alle utilities europee, ha previsto che in Germania l’output industriale potrebbe calare del 25% nel periodo autunnale ed invernale. Stupisce, in tal senso, anche la titubanza di Berlino sutetto ai prezzi del gas di cui si discute in Europa.

L’IfW stima che all’interno della sola economia tedesca la recessione potrebbe comportare danni alle imprese per 150 miliardi di euro. E sarebbe solo l’inizio. La centralità geoeconomica della Germania può causare a cascata una tempesta recessiva in Europa. In cui l’Italia rischia di essere il primo fronte caldo. Uno scenario problematico su cui Roma non può fare a meno di orientarsi considerandolo un’ipotesi sempre più plausibile.

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