Lo avevamo di recente anticipato su Inside Over: la Germania è in sofferenza sotto il profilo economico, schiacciata tra i timori della congiuntura globale (“Hard Brexit” di Boris Johnson e dazi) e l’incapacità di abdicare al modello mercantilista ed austeritario con cui Berlino si è vincolata a dipendere dal suo ipertrofico surplus commerciale e sulla svalutazione interna di lavoro e salari.
Il governo di Angela Merkel ha avuto, da tempo, sentore del mutato clima globale. La crescita zero di fine 2018 ha evitato la recessione ma è stata dovuta, principalmente, all’aumento del costo delle bollette energetiche e non a una reale ripresa della domanda interna, stagnante; il governo ha messo in atto un moderato aumento delle pensioni minime per venire incontro a una situazione di crescente disagio e impoverimento delle fasce vulnerabili della popolazione; si è addirittura parlato di un piano di investimenti pubblici mai messo in atto. Infine, il ministro dell’Economia Peter Altmaier, a luglio, è stato a Washington per chiarire con l’amministrazione Trump i principali punti di dissidio tra Germania e Stati Uniti e risolvere la crisi dei dazi. Nessun intervento sistemico, però, è subentrato.
E la logica conseguenza è stato un indebolimento delle prospettive economiche della Germania, certificato da un recente dato sulla produzione industriale: la produzione industriale tedesca è scesa più del previsto in giugno a -1,5% rispetto al mese precedente (contro un consensus di -0,4/-0,5) e con il calo anno su anno (-5,2%) che è il peggiore degli ultimi dieci anni. Un calo dovuto principalmente alla riduzione degli ordinativi nel settore auto e al rischio legato alle tensioni commerciali, potenziale fonte di crisi per l’export tedesco. Come scrive Il Sole 24 Ore, “la Germania sta lanciando segnali peggiori del previsto, e con qualche crepa che inizia a vedersi anche nel mercato del lavoro (mille disoccupati in più in luglio, il secondo aumento in tre mesi anche se micro rispetto alla disoccupazione al minimo storico del 5%), finora tonico, in un momento di esasperazione della guerra commerciale tra Usa e Cina”.
Il Pil per il secondo e terzo trimestre è dato in discesa dello 0,2%, fatto che spingerebbe Berlino nella recessione tecnica. L’indice di fiducia del settore manifatturiero rilevato dal governo che era pari a 67 punti su 100 nel dicembre 2017, è sceso a luglio da 45 a 43 punti. La discesa sotto quota 50 significa aspettative decrescenti e previsioni di contrazione economica. E la base politica su cui Berlino si muove in campo economico rischia di creare un effetto contagio su scala europea. L’accentramento dell’export sulla Germania e la presenza della catena del valore tedesca dall’Italia alla Polonia potrebbe compromettere qualsiasi sforzo per la crescita nel Vecchio Continente. L’Europa ristagna e, una volta di più, Berlino non torna a spendere per la crescita. Anzi, ragiona addirittura di nuovi surplus di bilancio e di una progressiva uscita dal mercato del titolo sovrano (Bund). Mala tempora currunt. Neanche la caduta in recessione risveglierà i tedeschi dal loro sonno della ragione negli affari economici?
Sul piano politico interno, non appaiono all’orizzonte disegni strategici di ampio respiro. La Cdu della Merkel oscilla tra tenuta centrista e apertura a destra per frenare l’emorragia di consensi, i socialdemocratici a picco alle urne sono privi della visione per una linea anti-austerità e, anzi, ragionano unicamente in termini di utilità sulla permanenza al governo. Chiedere un’agenda economica chiara ai Verdi è semplicemente ipotesi immaginifica, mentre a destra Liberali e Afd sono graniticamente schierati sulla trincea del rigore sui conti. La sinistra della Linke chiede una forte discontinuità, ma è troppo lacerata al suo interno e minoritaria per proporre piani unitari. A livello internazionale, l’elezione alla Commissione europea di Ursula von der Leyen certifica il mantenimento della linea tedesca ai vertici dell’Unione. Nei prossimi anni, a far pagare il conto potrebbe essere la dura realtà quotidiana dell’economia e dell’industria tedesca ed europea.