All’orizzonte si addensano nuvoloni neri carichi di pioggia. L’Italia, o meglio il governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte, pensava che per ridare ossigeno a un’economia sfiancata dal Covid bastasse affidarsi al Recovery Fund made in Bruxelles, un inedito fondo di ripresa pensato appositamente per distribuire denari ai Paesi membri. Fin dall’inizio sono tuttavia emersi problemi non di poco conto, visto e considerando che una fetta di governi, raggruppati sotto la sigla “Paesi frugali” e comprendenti, tra gli altri, Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, hanno risposto picche.

La loro posizione può essere riassunta così: va bene aiutare i Paesi messi in ginocchio dal nuovo coronavirus, ma non regalando loro soldi a pioggia. Meglio effettuare dei prestiti. È poi successo che Germania e Francia, per tagliare la testa al toro ed evitare pericolose fratture, hanno formulato la loro proposta: un fondo da 500 miliardi. La Commissione europea ha rilanciato addirittura con 750 miliardi.

L’Italia era sostanzialmente tranquilla. Sembrava che il Recovery Fund fosse certo, anche se restavano incertezze sulle tempistiche, cioè su quando i vari governi avrebbero visto i soldi promessi (si parlava di aiuti erogati a fine estate). Adesso la situazione è cambiata, e il problema è diventato un altro. La Germania, in parte per le pressioni interne e in parte per quella dei Paesi frugali, ha fatto retromarcia. Per Berlino vanno bene i 500 miliardi inizialmente proposti. Non solo: la pressione dei frugali, rinvigorita dalla sponda di altri governi (Irlanda e Belgio, ad esempio) non si placa.

La soluzione degli economisti tedeschi

Per l’Italia, il dietrofront tedesco, è stata una mezza doccia fredda. Ma non è finita qui, perché il governo giallorosso dovrebbe forse dare un’occhiata a cosa ha scritto uno dei principali quotidiani teutonici riguardo la situazione economica italiana. La Faz, come sottolinea Italia Oggi, ha aperto un dibattito tra gli economisti tedeschi: cosa fare quando l’emergenza Covid sarà un lontano ricordo?

Scendendo nel dettaglio, il quotidiano si è chiesto se l’Italia, “per risolvere i suoi problemi”, abbia “davvero bisogno di un taglio del debito”. E così, mentre in Italia i giallorossi perdono tempo con gli stati generali – una specie di copertura per puntellare la fallimentare gestione del rifinanziamento delle imprese e dei mancati sussidi a una buona fetta di lavoratori – in Germania ritengono che Roma, al termine dell’emergenza sanitaria, cioè più o meno nel 2022, non sarà in grado di effettuare nessuna delle riforme che le servirebbero per uscire dalle sabbie mobili.

In altre parole: niente riforme per dare il via a uno straccio di ripresa e niente correttivi per frenare un debito pubblico ormai insostenibile. A proposito di debito pubblico, un valore così elevato come quello italiano è molto pericoloso, tanto per la stabilità dell’euro che per tutta l’Eurozona. La proposta di alcuni economisti tedeschi? Una soltanto: ristrutturazione del debito.

“La ristrutturazione del debito italiano? Non è un tabù”

Va da sé che una ristrutturazione del debito avrebbe effetti devastanti sul sistema economico italiano (e non solo). Prendiamo il sistema bancario: nella sua pancia ci sono circa 700 miliardi di titoli del debito statale che, in caso di ristrutturazione, andrebbero incontro a una svalutazione. Le conseguenze? Oltre alla perdita di valore del capitale sociale, possibili fallimenti e assalti degli istituti stranieri alle banche nostrane.

Una soluzione alternativa alla ristrutturazione del debito esisteva, ed era stata proposta dall’ex ministro Giulio Tremonti e dal banchiere Giovanni Bazoli: l’emissione di un “bond patriottico” a lunga scadenza e a basso interesse. Il governo giallorosso ha ignorato questa ipotesi, se non che, adesso, a luglio, lancerà un bond per le famiglie, Bt Futura.

Tornando agli economisti tedeschi, c’è chi, come Hans-Werner Sinn, ex presidente dell’istituto Ifo di Monaco di Baviera, sostiene che “un taglio del debito italiano non deve più essere un tabù”. La motivazione di una simile presa di posizione è semplice: “È inaccettabile – ha spiegato Sinn, riferendosi a a quei soggetti in possesso di titoli di stato italiani – che i creditori italiani e stranieri vengano costantemente salvati dai contribuenti europei,invece di partecipare essi stessi alle perdite”.

D’altronde, ha aggiunto ancora Sinn, dal termine della Seconda guerra mondiale a oggi “ci sono state 180 ristrutturazioni di debiti pubblici e il mondo non è ancora finito”. Sinn termina la sua spiegazione lanciando un avvertimento e una previsione sulla ristrutturazione del debito: “I pacchetti di salvataggio non dureranno a lungo. Temo che prima o poi dovremo farne uso anche in Italia”.

Taglio del debito o riforme

Ci sono altri due economisti tedeschi che vale la pena ascoltare. Il primo è Friedrich Heinemann, dell’istituto Zew di Mannheim. La sua posizione coincide con quella di Sinn, anche se Herinemann aggiunge un particolare non da poco: “Evitare il taglio del debito pubblico italiano non sarà possibile. Il debito è troppo alto, e il Paese non può uscirne. Quando nel 2022 la crisi acuta sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E naturalmente i detentori di questo debito dovranno fare la loro parte e rinunciare a una parte dei loro crediti”. Detto altrimenti, l’esperto sta suggerendo i tempi (e le modalità) della ristrutturazione del debito italiano.

L’altra voce è quella di Lars Feld, capo del consiglio dei cinque saggi economici, in stretto contatto con la cancelleria Merkel. di parere opposto rispetto ai colleghi economisti. “Se il governo italiano affrontasse finalmente con determinazione le riforme necessarie, si potrebbero liberare notevoli forze in termini di crescita economica”. In termini più semplici, Feld sostiene che una ipotetica ristrutturazione del debito potrebbe portare più svantaggi che non benefici. L’Italia potrebbe evitare questa mannaia facendo una serie di riforme. Riforme, va da sé, che sarebbero assolutamente favorevoli a Berlino.

“Una volta estinti i debiti, diminuirebbe anche la pressione per affrontare le riforme necessarie alla crescita. E questo è l’esatto opposto di ciò di cui l’Italia ha bisogno”, ha chiarito Field. Come se non bastasse, un taglio del debito “provocherebbe una crisi bancaria in Italia, che si estenderebbe ad altri paesi europei”, ha aggiunto Filed.

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