Il 23 luglio scorso l’Assemblea Nazionale francese ha dato il via libera al Ceta, il trattato di libero scambio tra Unione Europea e Canada che entrerà pienamente in vigore dopo la ratifica dei Paesi membri della comunità. Parigi, quattordicesima capitale europea ad approvare il Ceta, ha visto la sua Assemblea Nazionale votare con una maggioranza tutt’altro che plebiscitaria: i voti a favore sono stati 266, quelli contrari 213, 74 gli astenuti. A trainare l’approvazione del Ceta è stato il partito del Presidente Macron e cardine del governo Philippe, “La Republique En Marche!”, che pur con grandi spaccature interne (52 astenuti e 9 voti contrari) ha sfruttato la maggioranza assoluta detenuta in Parlamento per approvare il Ceta e passare la palla al Senato, superando la compatta critica al trattato di tutte le opposizioni.
Critica che unisce al fronte trasversale costituito da socialisti, verdi, France Insoumise e Rassemblement National anche buona parte del mondo agrario francese. Il quale teme conseguenze economiche e, soprattutto, sanitarie dall’abolizione del 98% delle barriere commerciali con il Canada, Paese che rispetto all’Europa conosce regolamentazioni ambientali e agrarie ben diverse e, in certi settori, ben più lasche.
Le Monde, che mese dopo mese acquisisce toni sempre più duri verso l’amministrazione Macron, ha pubblicato alla vigilia del voto sul Ceta un’interessante analisi sul vuoto normativo del Ceta riguardante il divieto delle farine animali come alimentazione nell’allevamento, valido in Ue ma non in Canada. “Contrariamente a ciò che ha affermato il governo – scrive il giornale – esiste un pericoloso vuoto normativo. Esso consente agli allevatori canadesi di nutrire il loro bestiame con tali prodotti. Che, è bene ricordarlo, sono vietati in Europa da quando furono ritenuti responsabili della crisi della mucca pazza”.
Ancora più drastica la protesta di numerosi abitanti delle zone rurali del Paese. Ritenutisi, una volta di più, abbandonati dal governo che dopo aver fornito scarse risposte al moto di protesta dei gilet gialli e essersi limitato a poche concessioni economiche, non riesce a essere in grado di riconciliare il centro e la periferia del Paese. E tra i quali numerose frange hanno incolpato “En Marche” di un vero e proprio tradimento per il suo sostegno pressoché esclusivo al Ceta. Dalla Bretagna al Nord Passo di Calais i deputati macroniani sono stati insultati pubblicamente, contestati con forza sui social, denunciati apertamente dai loro ex elettori per il voto pro-Ceta. “L’ episodio più serio è considerata la devastazione, sabato, degli uffici a Perpignan dell’ onorevole Romain Grau, a margine di una delle manifestazioni dei gilet gialli. L’ azione più evocativa si è registrata ai danni di Jean-Baptiste Moreau, allevatore di
bovini della Creuse, che s’ è trovato la porta della rappresentanza chiusa da una pila di mattoni e la scritta sul muro «traditore»”, scrive il Corriere della Sera.
Tutto questo mentre, dopo l’inchiesta di Le Monde, le autorità regolatorie in campo alimentare del governo canadese davano ragione ai giornalisti francesi, sottolineando l’esistenza di scarsissime regolamentazioni sulle farine animali e, dunque, la debolezza delle norme a tutela della salute inscritte nel Ceta: “Malgrado un divieto di principio di utilizzo di farine animali, la normativa autorizza l’uso di determinate proteine, come le farine di sangue“, ha ammesso l’Agenzia di vigilanza sugli alimenti canadese.
La faglia sul Ceta è l’ennesima spaccatura tra il governo Macron e la parte più profonda del Paese. Che non a caso si apre nella parte rurale della Francia, lontana dalla ricchezza opulenta e dalla massa di investimenti di Parigi e delle altre metropoli dell’economia dei servizi. Come scrivevamo in occasione dei primi moti dei gilet gialli e della rivolta del latte in Sardegna, l’agricoltura è linea di faglia del conflitto tra centro e periferia nell’Europa contemporanea. Il malcontento ha due cause precise: “la globalizzazione imperante e la contemporanea marginalizzazione del mondo rurale dalle politiche dei governi. Il mondo sembra spesso dimenticarsi dell’importanza del settore primario. Ma resta ancora oggi un pilastro non solo della nostra economia, ma anche della nostra stessa esistenza. E le sfide che attendono questo settore non sono poche, con giganti economici che premono e con accordi internazionali e sul libero scambio che preoccupano una parte molto preoccupata dagli sviluppi dell’agricoltura e degli allevamenti mondiali”. Parole che si applicano benissimo al caso odierno del confronto tra il governo e gli agricoltori francesi sul Ceta. Ennesimo trattato di libero scambio che rischia di minare le prospettive di una fascia vulnerabile della popolazione.