Nel marzo 2011 la Francia, con il supporto di Stati Uniti e Gran Bretagna, iniziava la sua campagna militare contro la Libia di Gheddafi. Una guerra in piena regola in cui l’Italia di Silvio Berlusconi, sino allora partner del rais libico, fu costretta (su pressione del presidente Napolitano) a partecipare. I risultati sono noti. Come ricorda Giampiero Cannella nel suo ottimo libro L’Italia non gioca a Risiko: “Inebetiti dalla propaganda della ‘rivolta democratica’ contro il tiranno abbiamo sganciato tonnellate di bombe su un Paese fino a qualche mese prima alleato, che all’Italia aveva concesso ampio spazio di manovra nella ricerca e lo sfruttamento delle risorse energetiche, e che con l’Italia stava collaborando per la gestione dei flussi migratori”.
Il gran regista di questo terribile e ancora irrisolto pasticcio fu l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy. Fu lui, più di tutti, a voler demolire il regime di Tripoli e a fu sempre lui a dare la luce verde – tramite i suoi agenti sul campo – all’assassinio di Gheddafi il 20 ottobre 2011 a Sirte. Nel tempo i motivi di questo feroce accanimento si sono, almeno in parte, chiariti. Con buona pace della retorica umanitarista che abbacinò i media europei, i transalpini temevano l’ipotesi di una moneta panafricana finanziata dalle riserve d’oro libiche che soppiantasse il Franco Cfa nella loro zona d’influenza, la cosiddetta “FranceAfrique”, e tantomeno sopportavano la massiccia e fruttuosa presenza dell’Eni e del sistema Italia nel Paese. In più, come dimostrato dalle indagini della magistratura parigina, lo spregiudicato Sarkozy aveva incassato da Tripoli somme considerevoli (si ipotizzano sino 50 milioni di euro) per la campagna del 2007. Un finanziamento imbarazzante che il marito di Carla Bruni ha sempre negato senza però convincere i giudici che da anni indagano sul “patto di corruzione” stipulato tra il clan Sarkozy e il clan Gheddafi.
Ma c’è dell’altro ancora. Dietro questa folle guerra e l’interminabile caos libico (11 anni di violenze e scontri…) vi sono altri capitoli ancora da aprire e capire. La Francia è affamata d’uranio, lo strategico minerale che dal 1974 garantisce il funzionamento dei 56 reattori che alimentano 19 centrali nucleari che assicurano circa il settanta per cento dell’energia elettrica nazionale e la Libia, oltre al petrolio, cela nel suo deserto meridionale importanti giacimenti di uranio ancora vergini.
A ben vedere nulla di nuovo. Già nel 1973 Gheddafi, rivendicando i vecchi confini coloniali, entrò nel Ciad ed occupò la striscia di Aozou, una terra desolata ma ricca d’uranio. Un successo effimero. Nel 1987 le forze ciadiane con il contributo della Legione straniera francese, sbaragliarono le truppe libiche e ripresero il controllo del territorio che nel 1994 la Corte internazionale di giustizia assegnò definitivamente al paese centrafricano.
Ma, ed è il punto centrale, proprio a settentrione della contestata striscia, dunque sotto piena sovranità libica, gli scienziati scoprirono altri ricchi giacimenti del prezioso metallo radioattivo. Un tesoro inaspettato ma il rais non ebbe il tempo di sfruttarlo. Come confermava nel fatidico 2011 il sito “Nti” dell’organizzazione internazionale “Nuclear threat initiative”, molto autorevole nel settore degli studi geopolitici e della sicurezza globale e il cui board è composto da esperti internazionali. “Al momento, non vi sono prove dell’esistenza, in Libia, di impianti per l’estrazione, la lavorazione e la conversione di uranio, nonché di impianti di trasformazione del combustibile o siti di riprocessamento. Se la Libia dovesse intraprendere in futuro attività di estrazione di uranio, questa riguarderebbe probabilmente i bacini di Murzuk, di Sarir Tibisti e di Kufra”.
Un’occasione troppo ghiotta per la vorace industria nucleare francese, da tempo in difficoltà con i tradizionali fornitori africani (Niger in primis) ormai stufi delle esose e disuguali condizioni fissate decenni addietro da Parigi. Da qui, al netto dei doppi o tripli giochi francesi tra le diverse fazioni libiche, i pesanti investimenti economici, la ripresa – come riportato nella relazione del Centro alti studi per la Difesa e Centro militare di studi strategici “Influenza geopolitica della Libia nel bacino del Mediterraneo” – molto felpata ma efficace delle ricerche minerarie nel sud del Paese. Tra Murzuk e Cufra. L’eredità radioattiva di Sarkozy che Macron ha raccolto e che ora, alla luce della crisi energetica, vuole ottimizzare al più presto.