Recentemente la società farmaceutica statunitense Sienna Biopharmaceuticals ha avviato le procedure per la messa in liquidazione e l’inizio dell’iter fallimentare che, dunque, porterà alla scomparsa di quella che era ritenuta una delle più promettenti realtà innovative del settore.

A mandare ko Sienna, che dopo la quotazione al Nasdaq del 2017 era entrata nell’occhio attento degli investitori e del venture capital di Wall Street, un’operazione largamente svantaggiosa che ha portato all’acquisto della start-up  Creabilis Therapeutics, con sede legale in Gran Bretagna e uffici di ricerca in Italia, dal fondo francese Sofinnova che ne aveva curato crescita e sviluppo. Sienna aveva promesso a Sofinnova 150 milioni di dollari in larga parte divisi tra cessioni di aziende privilegiate e dividendi legati ai risultati futuri, ora più che mai da ritenersi molto difficili da esigere. Il caso Sienna-Creabilis è importante perchè l’operazione di costituzione della start-up è stata in larga parte finanziata dalla capacità di Sofinnova di intercettare e drenare dal nostro Paese i finanziamenti della Cassa Depositi e Prestiti al fondo pro-innovazione Itatech.

Come fa notare Lettera43, Sofinnova ha drenato un quinto dei finanziamenti messi in campo da Cdp e dal Fondo europeo investimenti sulla piattaforma tra il 2016 e il 2018: 40 milioni di euro su 200 stanziati complessivamente. Un quantitativo enorme che è stato dirottato sulle esigenze finanziarie di Parigi per la maggiore organizzazione delle piattaforme di venture capital transalpine di presentarsi forti e compatte a gare, bandi, concorsi. Ma non per analoghe potenzialità operative, se è vero che l’operazione Creabilis e la perdita dei fondi Itatech ad essa associati testimoniano la scarsa lungimiranza di Sofinnova. Tutto questo mentre, come riporta BeBeez, il potenziale da sviluppare nel nostro Paese nel settore biomedico e innovativo non manca: Itatech ha investito 40 milioni a testa anche nei fondi italiani più promettenti per il settore, cioè in Progress Tech Transfer e in  Vertis Venture 3 Technology Transfer di Vertis sgr.

La “preferenza francese” di questa attività di Cdp era già stata oggetto di recriminazioni nel 2017 ad opera di esponenti di Assobiotec, l’ associazione che riunisce le imprese che fanno biotecnologia, a cui il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan aveva risposto in maniera evasiva: “In Italia i gestori dei fondi pubblici dedicati a finanziare il trasferimento tecnologico, quindi ricerca e innovazione, possono essere italiani ma anche di altri Paesi”. Cdp, cuore dei colossi a partecipazione pubblica che indirizzano la politica economica italiana, deve essere sfruttata da Roma con razionalità strategica.

La preferenza delle operazioni deve però tenere conto di una doverosa priorità nazionale legata alla natura intrinsecamente italiana dei risparmi postali gestiti dal gruppo, che rende difficile ritenere plausibile l’ipotesi di metterli a rischio in attività straniere o in fondi a capitale non italiano. D’altro canto, sarebbe un errore trattare Cdp come il bancomat dello Stato, da arruolare in ogni operazione a rischio o da usare come copertura per manovre quali quella in programmazione su Alitalia. E se è auspicabile la creazione di una banca pubblica per gli investimenti come concordato sia dai gialloverdi che dai giallorossi trasformare Cdp in tale istituto sarebbe un’ulteriore forma d’azzardo che metterebbe a repentaglio, in caso di investimenti ambigui come nel caso Sofinnova, la solidità del risparmio italiano. Certezza della tenuta della nostra economia anche nei periodi più caldi.