La Federal Reserve di Jerome Powell torna a operare sul mercato su scala considerevole, e comincia farlo negando addirittura di starsi muovendo. “Mini quantitative easing” o “Quasi-quantitative easing” (Qqe) sono i nomi indicati dal capo economista di Allianz, Mohammed el-Erian, per definire il ritorno della Fed nel mercato dei titoli di Stato Usa e il processo di rifinanziamento del deficit a stelle e strisce che potrebbe coinvolgere acquisti per circa 200-250 miliardi di dollari.
Comprare i Treasury Bond non significa, per Powell, inaugurare il quarto quantitative easing del periodo successivo alla Grande Recessione ma procedere su uno stato di nuova normalità che vede le banche centrali del pianeta impossibilitate a compiere manovre diverse dal continuo rifinanziamento del debito e dell’abbassamento dei tassi di sconto del denaro, con la mossa contraria che causerebbe cataclismatici effetti su dei mercati finanziari “dopati”.
Parlando a Denver Powell ha inoltre indicato che la Fed in futuro comprerà titoli a breve scadenza nello sforzo specifico di iniettare liquidità rafforzando le riserve nel sistema e creando un “cuscinetto” contro il ripetersi di perturbazioni sistemiche, come l’aumento improvviso dei tassi dei prestiti interbancari nelle operazioni pronti conto termine (Repo) che ha costretto la Fed di New York a intervenire con 30 miliardi di dollari per abbassarli dal 10% al 2%.
Proprio questo è il grande fronte su cui la Fed deve vigilare: l’aumento del tasso di finanziamento a breve termine in un contesto di perenne sete di liquidità a basso costo da parte di società e gruppi finanziari è stato un brutto segnale che ha richiamato ai momenti più neri dello scoppio della crisi nel 2007-2008. Proprio la paralisi dei prestiti interbancari generò la crisi di sfiducia che trasformò la tempesta dei subprime in un vero e proprio cataclisma finanziario. La Fed vuole mantenere tra il 2 e il 2,25%, ovvero sul livello dei tassi di riferimento, la percentuale di interesse sul rifinanziamento interno al circuito bancario a scadenza un giorno (overnight) con una serie di operazioni calendarizzate tra il 22 ottobre e il 12 novembre, ma senza un’operazione dal lato Treasury qualsiasi strategia si mostrerebbe monca.
Washington teme un ripetersi del “momento Lehmann”, ovvero di una fase di crisi simile a quella seguita al crac di Lehmann Brothers, e la Fed agisce sul mercato repo per dare uno shock positivo al sistema. Basterà? L’economia finanziaria dà segnali contrastanti, e un analista attento come Mauro Bottarelli de Il Sussidiario ha commentato con pessimismo: “Sentiamo banche parlare quotidianamente e con assoluta franchezza di tagli occupazionali record, di interessi negativi da applicare ai conti, di tassazione sui prelievi, di lotta al contante. Di fatto, controlli di capitale mascherati. In arrivo, con accelerazione sempre maggiore” per prevenire il deflagrare di una grande crisi.
Cosa farà in futuro la Fed? Si manterrà su un’operazione bilanciata di stabilizzazione del repo e sull’acquisto temporaneo di T-Bond? Agirà nel profondo con un nuovo Qe? Seguirà le pressioni di Donald Trump, tagliando nuovamente i tassi? La banca centrale americana sembra avere molta tattica e poca strategia nel suo incedere. Ma il momento richiede una visione di lungo termine, che difficilmente porta con sè ottimismo quando il tema e la finanza. E il sospetto di quella piccola fascia del mondo economico che vede il crescente elemento di dipendenza delle borse da nuovi Qe, l’incapacità di alimentare gli aumenti di capitale borsistico con qualcosa di diverso dal denaro a basso costo delle banche centrali e la crisi di sfiducia dei prestiti interbancari come fattori intercorrelati, e pertanto non risolvibili separatamente, è molto fondato.