Non sono certo mesi facili questi per Recep Tayyip Erdogan: il presidente turco affronta una grave crisi economica, che oramai da più di un anno sta assottigliando potere d’acquisto e pazienza del ceto medio, così come una crisi di consensi da parte del suo Akp.
Ed è proprio dalla gestione interna del partito, fondato nel 2001 e vittorioso già nelle legislative del 2002, anno di inizio della scalata di Erdogan, che potrebbero sorgere i veri grattacapi per il capo di Stato turco. Il futuro dell’Akp sembra legato inscindibilmente a quello di Erdogan e viceversa.
La crisi dell’Akp
“It’s economy“, diceva nel 1992 James Carville commentando l’inaspettata vittoria di Bill Clinton alle presidenziali Usa di quell’anno. Consultazioni a cui l’uscente George H. W. Bush arrivava da fresco vincitore della Prima guerra del golfo ma in cui gli americani preferirono il candidato democratico. Come mai? La risposta a questo quesito va ricercata proprio nell’andamento dell’economia americana. Anche per la Turchia, così come per molti altri esempi, vale forse lo stesso principio: a prescindere dall’ideologia, dal consolidamento del potere e dal carisma personale, tutto ruota attorno ll’economia. Il Paese anatolico da più di un anno vede il suo boom frantumarsi e ridimensionarsi, con la lira turca deprezzata, l’inflazione arrivata a livelli più che ragguardevoli ed una disoccupazione a due cifre percentuali.
Un rallentamento improvviso, causato anche dalle turbolenze geopolitiche internazionali in cui la Turchia è invischiata e che rendono più di una volta il paese destinatario di minacce di sanzioni (come nel caso della disputa con l’Europa per i giacimenti di gas a largo di Cipro) oppure, come nella scorsa estate, oggetto di speculazione finanziaria. Fatto sta che le condizioni economiche sono peggiorate e questo è alla base anche delle difficoltà dell’Akp.
Il partito di Erdogan perde consensi soprattutto nelle città. Tutte e tre le principali metropoli turche sono oramai in mano al Chp, il partito repubblicano che rappresenta la principale opposizione. Le ultime amministrative non assomigliano ad una disfatta per l’Akp solo perché il voto della provincia dona complessivamente più del 45% al partito, una percentuale in grado di far ancora governare in solitaria Erdogan in caso di elezioni legislative. Ma Ankara, Istanbul e Smirne sono oramai passate con l’opposizione. Questo perché è qui che il ceto medio avverte maggiormente la crisi: “Guardi non posso nemmeno comprare le medicine”, dichiara un passante alla troupe televisiva del Tg1 che realizza a fine luglio un servizio ad Istanbul. Segno che in città più di qualcosa non va, mentre in provincia l’Akp riesce ad attutire la caduta grazie ad un più marcato radicamento territoriale.
Cosa deve temere Erdogan
Ma non è nemmeno il voto elettorale a dover far preoccupare in maniera maggiore l’attuale presidente turco. Non ci saranno nuove elezioni per almeno due anni: il parlamento verrà rinnovato nel 2021 e le consultazioni presidenziali si terranno nel 2022. Tra queste due date, al momento, non è previsto né un referendum né nuove tornate amministrative. Dunque per i prossimi due anni almeno l’attuale assetto istituzionale e politico subirà una sorta di cristallizzazione che gioca ovviamente a favore di Erdogan. In questo arco di tempo, il suo governo potrebbe anche prendere decisioni inizialmente impopolari volte a stimolare nuovamente l’economia e a cercare di farla ripartire in attesa delle prossime elezioni.
Ciò che invece Erdogan deve temere è la tenuta stessa del suo Akp. Fin quando il partito governa in tutto il Paese e l’economia tira, la tendenza sempre più autoritaria e volta ad una gestione più personale che collegiale dell’Akp verrà tollerata. Ma adesso la situazione è diversa: le difficoltà e le recenti sconfitte nelle amministrative stanno accelerando divisioni frutto di malumori tutti interni. In questo senso, il caso più clamoroso è rappresentato dalla fuoriuscita dal partito dell’ex ministro dell’economia, Ali Babacan. Si tratta non solo di un fedelissimo di Erdogan, ma anche del principale artefice del boom economico dei primi anni di governo dell’Akp. Babacan sarebbe pronto a fondare un suo partito, portandosi dietro nomi pesanti tra cui quello dell’ex presidente Gul.
Una situazione del genere preoccupa molto Erdogan, il quale teme l’assottigliamento della sua maggioranza nell’attuale parlamento ed un’ulteriore perdita di voti per via delle spaccature dell’Akp. Un contesto dunque che non fa dormire sonni tranquilli al presidente turco, fino all’anno scorso leader incontrastato di partito e Paese.