McKinsey, una delle più strutturate e celebri aziende di consulenza strategica al mondo, rischia di subire un forte danno economico e d’immagine dall’avanzamento della campagna giudiziaria legata alla crisi degli oppioidi che da tempo attanaglia gli Stati Uniti. I fatti, in materia, sono divenuti sempre più noti negli ultimi anni: da circa due decenni, negli Stati Uniti, si stanno diffondendo fenomeni di dipendenza da sostanze antidolorifiche e sedativi a base oppiacea, che entrano poi nel circuito dell’illegalità venendo utilizzati come base per un corposo narcotraffico. Alla radice di tutto, la graduale liberalizzazione della circolazione degli oppioidi e di sostanze come l’ossicodone, al termine di un lungo processo di lobbying e creazione di consenso che ha visti coinvolti gruppi industriali, associazioni di categoria, esponenti delle istituzioni.

Il “massacro americano” degli oppioidi

Per capire come McKinsey sia finita coinvolta, partiamo dagli antefatti. In sostanza, dalla metà degli anni ‘90 ai dottori d’America è stato consigliato di combattere i malesseri fisici con le pastiglie, non con le terapie: dallo xanax all’oxycontin, potentissimo antidolorifico prodotto dall’azienda farmaceutica Purdue Pharma. Come scritto da Ross Barkan sul Guardian, “sappiamo che la crisi non esisteva prima che la Purdue Pharma buttasse sul mercato l’OxyContin.

Guidate da Purdue Pharma, le principali compagnie farmaceutiche elaborarono una campagna per persuadere dottori e pazienti”, convincendoli a sottovalutare i rischi degli oppiacei e a sopravvalutare i loro ruoli terapeutici. La conseguenza è stata la diffusione crescente di fenomeni di tossicodipendenza e una vera e propria emergenza sanitaria culminata in quello che è stato definito un “massacro americano”: negli ultimi tre decenni le vittime degli oppiacei sono state 400mila, concentrate principalmente in Stati in declino dell’America profonda come la West Virginia, il Kentucky o l’Ohio.

“Nel 2017, l’apice della più grande crisi da tossicodipendenza della storia americana, ogni giorno 130 persone morivano di overdose da oppiacei. Più di 11 milioni di americani ne abusavano”, ricorda Avvenire. Negli ultimi tempi il vento è cambiato e diverse società accusate di pratiche illegali sono andate alla sbarra. Nel 2019 Johnson&Johnson è stata condannata a pagare 572 milioni di dollari per rimediare alla devastazione creata dall’epidemia in Oklahoma, mentre nel 2020 la citata Purdue si è dichiarata colpevole e ha pagato 8 miliardi di dollari di multa per evitare un processo destinato a sicura sconfitta di fronte a un tribunale federale.

McKinsey alla sbarra

La società di consulenza newyorkese è finita sotto torchio e ha recentemente accettato di pagare quasi 600 milioni di dollari per chiudere un contenzioso con 49 stati Usa per il ruolo che avrebbe svolto nel promuovere la vendita dell’OxyContin su tutto il territorio federale. Come ricorda il New York Times, McKinsey ha scelto di pagare e di pubblicare in futuro tutti i documenti interni e di mantenere per cinque anni le mail dei suoi consulenti per svelare eventuali conflitti di interesse nei lavori svolti a fianco di Purdue.

In sostanza, McKinsey ha contribuito a costruire campagne d’immagine per la Purdue volte a massimizzare i profitti della vendita di oppioidi attraverso strategie che andavano dal lobbying in sinergia con le altre case produttrici a piani marketing volti a favorire l’acquisto di prodotti più pesanti e con dosi più elevate. L’OxyContin, definito “eroina di montagna” per la presenza dei primi casi di abusi nella regione dei Monti Appalachi, è stato promosso anche grazie alle manovre di marketing consigliate da McKinsey. Che pagando anticipatamente la multa e anticipando una possibile sentenza di condanna penale avvalla un principio non scontato in un Paese, gli Usa, che sul fronte interno amano pensarsi come la patria della libera concorrenza: di fronte alla salute pubblica, non esistono ragioni di business. Anche partecipare a una campagna di promozione di un prodotto ritenuto poco sicuro può far cadere sulla società partner responsabilità dirette. Non stentiamo a vedere dietro questo orientamento più aggressivo verso la punizione degl abusi sanitari un’importante lezione legata alla pandemia di Covid-19, che ha posto gli States di fronte all’enormità delle fragilità sanitarie interne e alle loro grandi contraddizioni.

L’ad sotto accusa

La questione oppioidi ha aperto un fronte interno anche nella stessa McKinsey facendo traballare le prospettive dell’ad Kevin Sneader, 54enne manager canadese di origini britanniche, di ottenere una riconferma per altri tre anni alla guida dell’azienda di consulenza da 10 miliardi di dollari di fatturato all’anno. I 650 managing partner di McKinsey stanno votando in questi giorni per scegliere il nome del futuro ad, e nel possibile ballottaggio non è affatto scontato che il nome di Sneader compaia.

Dopo il coinvolgimento in uno scandalo di corruzione governativa in Sudafrica e problemi legati a dei conflitti di interesse su delle bancarotte che hanno portato a una multa da 15 milioni di dollari da parte del Dipartimento di Giustizia la crisi degli oppioidi colpisce con durezza, imponendo una sanzione pari a oltre il 5% del fatturato annuo del gruppo che abbatterà notevolmente le prospettive dei manager di ricevere extra-profitti e premi legati ai risultati quest’anno. Sneader potrebbe pagare in prima persona, ma in sostanza ad esser messo in crisi è lo stesso metodo McKinsey” di gestione tecnocratica e manageriale di ogni settore produttivo, metodo che il candidato dem Pete Buttgieg nel 2020, da ex dipendente nel gruppo, voleva introdurre nell’amministrazione americana. Un metodo che si scontra con le priorità nazionali e sociali che il mondo post-Grande Recessione e ora colpito dal virus hanno riportato in emersione in diversi settori privati. Non di solo mercato vivrà l’uomo: e le società di consulenza che aiutano i gruppi finanziari e industriali a “spremere” i mercati secondo una basilare logica costi/benefici ne stanno gradualmente prendendo atto.

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