L’Occidente si è svegliato tardi e adesso rischia di perdere malamente la corsa per la produzione delle auto elettriche. Mano a mano che il mondo abbandona le vecchie vetture a benzina e diesel per passare ai cosiddetti Electric Vehicle (EV), è possibile rendersi conto della posizione di forza occupata dalla Cina.

La Repubblica Popolare, un tempo fabbrica del mondo, nonché centro di gravità per quanto riguardava l’esportazione di paccottiglia a basso costo, è adesso la regina indiscussa del mercato elettrico.

Le aziende occidentali fanno a gara per rafforzare le loro posizioni all’interno della catena di approvvigionamento delle batterie, dell’estrazione e della lavorazione dei minerali necessari per produrre il cuore dei veicoli elettrici. Possono però poco o niente di fronte allo strapotere cinese, consolidatosi nel giro di pochi anni e figlio di un concentrato di pianificazione centralizzata, sussidi alle società nazionali e voglia di superare il mondo occidentale in un campo strategico.

Il gigante cinese

La Cina è il più grande mercato mondiale di veicoli elettrici. Le vendite totali sono da capogiro: nel 2020, nonostante il Covid-19, 1,3 milioni di veicoli, oltre il 40% delle vendite mondiali. Il produttore di batterie CATL, ovviamente cinese, controlla circa il 30% del mercato mondiale delle batterie per gli EV. E non è finita qui, perché, sempre nel 2020, i fornitori specializzati di cobalto Darton Commodities stimano che le raffinerie cinesi abbiano concesso l’85% del cobalto mondiale, un minerale che aiuta a migliorare la stabilità delle batterie agli ioni di litio.

In altre parole, possiamo dire che la Cina controlla tanto il mercato mondiale degli EV quanto la maggior parte della catena di approvvigionamento del settore. Ha aziende leader, i minerali necessari per sfornare batterie a ripetizione e pure le tecnologie: impossibile chiedere altro.

Molti potrebbero replicare facendoci notare che Tesla, forse la più nota auto elettrica del mondo, è prodotta da una società californiana, e dunque statunitense. Peccato che dietro alla storia di successo della creatura di Elon Musk vi sia l’ombra della potenza manifatturiera cinese. La fabbrica Tesla di Shanghai, giusto per rendersi conto di ciò che stiamo parlando, produce più automobili dello stabilimento situato in California. Alcune batterie sono poi made in China, così come i minerali che le alimentano sono per lo più raffinati ed estratti da aziende cinesi.

L’ascesa della Cina

Appurato che la Cina, adesso, vuole imporsi sui mercati occidentali con le sue auto elettriche, vale la pena interrogarsi su come abbia fatto Pechino a diventare la regina indiscussa degli EV. “Lo sviluppo di veicoli a nuova energia è essenziale per la trasformazione della Cina da grande paese automobilistico a potente paese automobilistico. Dovremmo aumentare la ricerca e lo sviluppo, analizzare seriamente il mercato, adeguare la politica esistente e sviluppare nuovi prodotti per soddisfare le esigenze di diversi clienti. Questo può dare un forte contributo alla crescita economica”, dichiarava nel 2014 il presidente cinese Xi Jinping, visitando una fabbrica di veicoli elettrici a Shanghai.

Da allora sono passati otto anni, e la Cina ha fatto passi da gigante. Il fattore principale, nonché la leva che ha attivato il potere del Dragone nel settore dei veicoli elettrici può essere individuato nelle politiche di governo. Le autorità non hanno incoraggiato la transizione al green soltanto per compiacere l’opinione pubblica. Lo hanno fatto per tre ragioni: ripulire l’aria delle megalopoli, fino a qualche decennio fa letteralmente irrespirabile per smog e inquinamento, ridurre i costi di importazione del petrolio in uno scenario geopolitico sempre più incerto e, last but not least, trasformare la Cina leader globale dell’ennesimo settore strategico.

I segreti del Dragone

La road map e il modus operandi seguiti dalla Cina sono particolarmente interessanti, soprattutto se riletti oggi. Le politiche del governo centrale, infatti, si prefiggevano di raggiungere l’obiettivo di contare 5 milioni di veicoli elettrici sulle strade cinesi entro il 2020, assegnare quote di EV per produttori e importatori di veicoli, fornire sussidi alla produzione elettrica, e garantire esenzioni fiscali e appalti pubblici, nonché supporto, per la costruzione di stazioni di ricarica per veicoli elettrici. Molti governi provinciali, inoltre, hanno supportato i proprietari degli EV garantendo loro un accesso preferenziale alle targhe e assegnando altri incentivi.

Nel 2019, ogni produttore e importatore cinese di veicoli era tenuto a produrre o importare almeno il 10% di veicoli elettrici (una percentuale poi salita fino al 12% nel 2020). Per quanto riguarda i sussidi, nel recente passato le autorità cinesi hanno fornito ghiotti bonus ai produttori di EV (salvo poi dimezzarli ed eliminarli con l’incremento delle vendite degli stessi mezzi elettrici). Non è però finita qui, perché ancora adesso il governo cinese esenta gli EV dalle tasse sui consumi e sulle vendite, consentendo agli acquirenti di risparmiare migliaia di dollari, senza scordarsi della promozione costante per lo sviluppo di infrastrutture di ricarica all’avanguardia.

Una ricetta vincente

Se le politiche di Xi Jinping hanno indicato la strada da seguire e scandito i tempi di marcia, la globalizzazione e la delocalizzazione delle aziende straniere hanno fatto il resto.

Da quando, nel 1978, la Cina ha iniziato, gradualmente, ad aprire il proprio mercato, sempre più imprese occidentali hanno pensato bene di trasferire i loro centri produttivi oltre la Muraglia, sfruttando il basso costo del lavoro e della manodopera locale. Attenzione però, perché gli interessati a produrre nella Repubblica Popolare erano chiamati a creare una joint venture (una partnership) con un’azienda locale. È anche così che Pechino ha appreso prezioso know how, integrandolo con le proprie politiche centralizzate e pianificate.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nel 2018, secondo quanto riportano i dati Acea, dalla Cina sono sbarcate in Europa circa 320mila automobili. Nei primi sette mesi del 2021 l’export cinese di auto complessivo, riguardante cioè tutto il mondo, ha superato il milione di esemplari, mentre nel 2020 tale valore arrivava a 995mila unità. Insomma, siamo di fronte a numeri troppo bassi per parlare di un’invasione, anche se la crescita c’è e sarà sempre più ingente.

Rischi e zone d’ombra

La fresca decisione di Bruxelles, in sostanza, è un’arma a doppio taglio. In assenza di un settore preparato – come non lo è quello europeo -, il rischio è che la Cina possa sfruttare al meglio la sua leadership nel comparto degli EV per mangiarsi la fetta più grande della torta dell’automotive europea.

“L’Europa è ora l’obiettivo principale per le esportazioni di veicoli elettrici dalla Cina, una tendenza che ha beneficiato notevolmente delle politiche cinesi di distorsione del mercato. Date le gravi implicazioni che ciò potrebbe avere per l’economia europea, l’Ue deve monitorare attentamente la situazione in patria e all’estero e considerare l’uso di propri strumenti di difesa commerciale”, ha sintetizzato, in un report, il think tank Merics.

Anche perché l’Europa è diventata la destinazione principale per i veicoli elettrici (EV) made in China. Nel 2021, circa il 40% delle esportazioni globali di veicoli elettrici della Cina è stato assorbito dall’Europa, dove i veicoli elettrici cinesi rappresentano già il dieci percento delle vendite totali di veicoli elettrici.

Infine, e questo è fondamentalmente per l’Europa, prosegue l’analisi Merics, le esportazioni cinesi di veicoli elettrici nell’UE non sono cresciute perché le auto provenienti dalla Cina sono migliori, ma perché le case automobilistiche europee e statunitensi stanno passando alla produzione di veicoli elettrici nella Repubblica Popolare, anche per il mercato europeo. La Dacia Spring di Renault e le iconiche Smart e Mini EV di Daimler BMW saranno sviluppate e prodotte oltre la Muraglia per i mercati globali.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.