“Pompate denaro nel sistema finchè serve”. Nelle decise parole di Ursula von der Leyen in occasione del discorso in cui ha annunciato l’attivazione della clausola di sospensione delle regole del Patto di stabilità su debito e deficit pubblici c’è tutta l’enfasi delle grandi svolte.

Via libera agli Stati, dunque. La prima, storica sospensione del Patto di stabilità avviene sotto la mordente crisi del coronavirus, che sta mettendo sotto pesante sforzo il sistema economico europeo e sta facendo venire a galla le contraddizioni e le debolezze dell’architettura comunitaria. Le divisioni, l’inazione e le incertezze hanno fatto molto male: tutti abbiamo ancora nelle orecchie le parole confuse con cui Christine Lagarde ha abdicato al ruolo di garante della Bce, al prestigio politico conquistato in otto anni da Mario Draghi, salvo poi cercare di rimediare annunciando un piano di stimoli da 750 miliardi di euro. La Commissione targata von der Leyen ha esitato a lungo, risparmiandosi la caduta di stile di dichiarazioni fuori luogo, prima di prendere una scelta che apre scenari impronosticabili. Per almeno tre diversi motivi.

In primo luogo, si conferma l’impressione della “fine di Maastricht”. Così il fuggi-fuggi generale di fronte all’avanzata dell’epidemia, la disunione economica e gli errori di valutazione iniziali erano stati letti da un analista tutt’altro che noto per il suo euroscetticismo come Roberto Sommella, in un editoriale su Milano Finanza. Permettendo la deroga al Patto, che siglato nel 1997 rappresentò il corollario diretto del trattato di Maastricht, e al vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil e del 60% in quello debito/Pil la Commissione grida “liberi tutti”. Rilancia la centralità, tutt’altro che retorica, degli Stati nell’affrontare emergenze politiche ed economiche per cui la Commissione e le strutture europee, figlie dei trattati, non dispongono nell’adeguata flessibilità operativa.

In secondo luogo, si manifesta in maniera lampante l’assoluta inconciliabilità tra il mito delle regole e le prospettive di crescita per i Paesi dell’Eurozona. Basti pensare al ruolo frenante esercitato per anni in campo europeo dalla Germania, sorda agli appelli ad avviare con politiche anti-cicliche interne la ripresa della domanda aggregata all’interno e in Europa, che avrebbe potenzialmente condizionato il suo enorme surplus commerciale, contro la deviazione da ogni regola di bilancio. Nell’ora più buia di anni di disciplina nordica, di rigore sui conti e di moralismi si fa tabula rasa. E non ne sentiremo la mancanza, nei prossimi mesi.

In terzo luogo, si va in controtendenza con la prioritizzazione delle misure di politica monetaria sulla politica fiscale degli ultimi anni. Il quantitative easing permanente dell’ultima decade ha scaricato il bazooka monetario delle banche centrali di tutto il mondo, Bce compresa, che ora possono risultare funzionali ed operative nel loro compito solo a sostegno della politica fiscale dei governi, unica capace di creare attivamente investimenti, lavoro, crescita e di tamponare gli effetti in termini di mancate entrate e welfare per chi subirà gli effetti più gravi della crisi.

Come fa notare Limes, “ad architettura filosofico-fiscale corrente”, ovvero nell’Europa delle regole elevate a Tavole della Legge, “un importante ritorno dello Stato a garanzia dell’equità e tenuta dei sistemi economici e sociali è impraticabile”. Perché una scelta del genere “implicherebbe (implicherà) la sconfitta dell’ordoliberismo tedesco e della relativa “austerità” contabile. E perché esige un coordinamento politico inedito, essendo la politica economico-fiscale – cioè l’azione dei governi, che nel caso di economie relativamente piccole e fortemente interconnesse come quelle europee non può che essere concertata per reggere nel medio-lungo termine – l’unica in grado di arrivare dove l’azione delle banche centrali non può più”. La sospensione del Patto di stabilità apre una breccia in questa narrazione che ha condotto l’Europa a un graduale ridimensionamento politico ed economico nell’era della globalizzazione. A un’inadeguatezza figlia del suo volersi concentrare unicamente su mercati e moneta, eludendo la sfera politica.

Forse, la conseguenza più importante della mossa della von der Leyen sarà proprio uno stimolo ai Paesi membri dell’Unione e alle loro leadership a richiamare il primato dell’azione politica sulla pretesa di un libero gioco economico. Delle scelte discrezionali sulle regole artefatte. Ora più che mai un vincolo estremo in tempi di crisi. L’Europa agisce delegando la più strategica delle azioni agli Stati. E questa è una grande notizia: forse quella che, già dal momento in cui è annunciata, produrrà le conseguenze di maggior impatto sulla governance del Vecchio Continente.





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