La Cina sta superando gli Usa e gli altri Paesi occidentali nella corsa a approvvigionarsi di litio in Africa. Dopo le mosse in Afghanistan e le manovre nel “triangolo del litio” dell’America Latina Pechino si muovo con attenzione per il materiale più strategico per la transizione energetica, a partire dall’industria dell’auto elettrica, anche nel continente più complesso del pianeta.

Lo Zimbabwe al centro della “via del litio” cinese

Per il colosso della ricerca mineraria Trafigura l’Africa potrebbe fornire nel 2030 il 20% circa del litio mondiale. Quell’anno, la produzione globale sarà tra le 3,3 e le 3,5 milioni di tonnellate secondo le principali stime degli analisti. Ad oggi l’Africa ne produce circa 10-15mila. Ma da quest’anno con il primo impianto diretto di estrazione di proprietà cinese in Zimbabwe sarà innestata una marcia di sviluppo.

L’impianto operativo sul terreno acquistato da Huayou Cobalt nel 2021 per 422 milioni di dollari a Arcadia, in Zimbabwe, segnala l’importanza del Paese un tempo piagato da iperinflazione, carestie e povertà endemica per la Cina. Emerson Mnangagwa, presidente dello Zimbabwe dal golpe del 2017 che depose lo storico leader Robert Mugabe, è salito al potere con un sostanziale via libera cinese confermato nella giornata dell’11 novembre 2017, tre giorni prima del colpo di Stato che portò al potere l’ex vice del dittatore di Harare, con la visita del comandante delle forze armate dello Zimbabwe Constantino Chiwenga, capo dei militari golpisti, a Pechino. Da allora Harare è fermamente allineato alla Cina e vuole diventare la potenza africana del litio.

Il governo dello Zimbabwe ha allo studio il Base Mineral Export Control Act che subordina al via libera del governo l’esportazione di litio grezzo, fatti salvi gli accordi già esistenti. Che sono legati a uno stock di investimenti cinesi da circa 678 milioni di dollari accumulatosi dal 2017 a oggi. La produzione di litio dello Zimbabwe potrebbe salire a circa 150mila tonnellate l’anno nel 2030, rendendolo il primo produttore d’Africa. E garantendo alla Cina un accordo vantaggioso per la sua industria della transizione energetica, fonte dell’abbattimento dei costi di molti prodotti ma anche di una dipendenza sistemica dell’Occidente dalle sue tecnologie.

Anche la Namibia nel mirino cinese

Una vera e propria caccia al litio decisamente simile a quella compiuta da potenze occidentali e non per altre materie prime nel continente e che continua altrove. Il Financial Times ricorda che “la Namibia è il prossimo paese nel mirino degli investitori cinesi. Il mese scorso Huayou Cobalt ha anche preso piede a Erongo con un piccolo ma simbolico investimento in Askari, una società australiana che esplora dal sito di Uis”, attenzionato da compagnie europee e britanniche e visitato di recente anche dal Commissario Europeo all’Industria Thierry Breton. Inoltre, nel Paese del Sud-Ovest dell’Africa, c’è anche “Xinfeng, una società di esplorazione cinese attiva a Erongo, ha estratto decine di migliaia di tonnellate di minerale di litio grezzo e lo ha spedito in Cina”.

La Cina poi punta anche i “giganti” del Continente, Congo e Nigeria, attenzionati per la ricchezza del loro sottosuolo. Qui la penetrazione è più complessa, ma se nei miracoli geologici dell’Africa si troveranno risorse strategiche l’industria del Paese potrebbe beneficiarne.

Una corsa “neocoloniale”?

Si nota in quest’ottico un approccio cinese totalmente organico a quello spesso stigmatizzato in passato quando promosso dell’Occidente. Vista la strategicità del litio, c’è poca attenzione all’idea della “cooperazione win-to-win”, all’uso di manodopera locale nei settori strategici della catena del valore o di qualsivoglia multipolarismo. La Cina vuole sviluppare il litio dell’Africa giocando d’anticipo sull’Occidente ma agendo totalmente pro domo sua. Poco o nulla lo spazio che sarà lasciato agli attori locali e al proprio sviluppo industriale oltre alle royalties da estrazione.

Mentre la corsa alla transizione si fa sempre più geopolitica, le regole del mercato globale premiano Pechino. Che ristruttura a sua immagine la globalizzazione, ma ne sfrutta le catene del valore globale e la libertà garantita ai flussi di investimenti. E dopo il litio potrebbero seguire infrastrutture costruite a debito con la promozione cinese e patti di mutuo commercio che condizioneranno a favore della Cina la geopolitica africana. Senza alcuna differenza rispetto al metodo occidentale, spesso indicato come “neocolonialista”. Anche così, del resto, va il mondo: le potenze sono tali quando riescono a gestire i doppi standard e a compiere impunemente ciò che ai rivali rinfacciano. E la Cina sembra esserne sempre più in grado.

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