Sin dal primo momento in cui britannici votarono a favore della Brexit è andato di moda argomentare che la loro economia fosse destinata a crollare, e che sarebbe stata invece quella dell’Unione europea a trarne maggiori benefici. Per oltre cinque anni un economista dopo l’altro ha predetto il destino spacciato, misero e catastrofico dell’economia della Gran Bretagna.

La realtà è che non avremmo mai potuto conoscere il vero impatto della Brexit se non negli anni ad essa successivi; eppure ciò non ha impedito agli economisti di formulare previsioni sempre più congetturali. Più volte ci è stato detto che il Regno Unito sarebbe collassato, andato in fiamme, e sarebbe ritornato “il malato d’Europa” che era prima di entrare nella Comunità europea nel 1973.

Gli ultimi dati sul volume degli scambi commerciali tra il Regno Unito e l’Unione europea hanno dato ulteriormente spazio a questi commenti: a gennaio, infatti, innumerevoli autori hanno evidenziato cifre che indicavano un collasso delle relazioni commerciali con l’Ue.

Rispetto agli anni precedenti, il totale delle esportazioni britanniche verso l’Unione è crollato del 42%. Tuttavia, quello che non è stato altrettanto evidenziato è che da allora le esportazioni britanniche verso l’Ue hanno recuperato notevolmente, balzando del 47% nel mese di febbraio. Sebbene rimangano leggermente al di sotto dei livelli dello scorso anno, si stanno rapidamente indirizzando verso la giusta direzione.

Quello che suggeriscono questi e anche altri dati – ha dichiarato il noto analista Wolfgang Münchau di Eurointelligence – è che degli spaventosi scenari sulla Brexit non si avvererà nemmeno la minima parte.

Diverse organizzazioni finanziarie sono d’accordo, indicando che al momento l’economia britannica ha il vento in poppa. Il Fondo Monetario Internazionale (Imf) ha appena previsto per la Gran Bretagna una crescita economica del 5,3% nel 2021, rispetto al 4,4% per l’Eurozona e al 3,6% per la Germania. Il Regno Unito tornerà ora probabilmente ai risultati pre-Covid prima dell’Eurozona e potrebbe spingersi ancora oltre. Anche altri hanno recentemente formulato previsioni di crescita per il Regno Unito – l’Item Club di EY, JP Morgan, Ubs, l’Oecd e Deutsche Bank, per citarne alcuni.

Goldman Sachs ha appena previsto che l’economia britannica è destinata a crescere del 7,8% solo quest’anno, più velocemente degli Stati Uniti. Se i numeri dovessero corrispondere, allora si tratterebbe del tasso di crescita più repentino, in tempo di pace, dal 1870. L’Item Club di EY sostiene che aumenterà circa del 7%, al ritmo più veloce dal 1941. Anche Ubs, Bank of America e Barclays hanno fatto le proprie previsioni, soprattutto in seguito all’esito positivo della campagna vaccinale britannica – il primo vero banco di prova dai tempi della Brexit, superato a pieni voti.

Questo successo ha avuto un’importanza significativa anche in termini economici, poiché una rapida ripresa dal Covid-19 oscurerà qualsiasi breve attrito vi fosse stato nel periodo immediatamente successivo alla Brexit. Tra un anno o due, osservando tassi di crescita del 7%, sarà difficile convincere i britannici che la Brexit sia stata un disastro economico.

Alcuni controbattono che è nel lungo periodo che la Brexit danneggerà l’economia britannica; ad esempio alcune banche sostengono che, persino con un 2021 da sogno, il vero impatto della Brexit si manifesterebbe solo in un orizzonte temporale più esteso, arrivando nei prossimi anni a ridurre il PIL della Gran Bretagna del 3,5% circa.

Ma anche nel caso in cui questo scenario dovesse concretizzarsi andrebbe interpretato insieme ad altri due fattori. In primis, la performance di qualsiasi economia è sempre relativa. Soppesando costi e benefici della Brexit, i britannici confrontano i propri risultati con quelli dell’Eurozona, da distinguere tra quelli di un nord più prospero e quelli di un sud fortemente indebitato ed abbandonato a se stesso.

Secondo, anche se nel lungo periodo dovesse davvero verificarsi una qualche recessione dovuta alla Brexit, dovremmo tenere a mente che ciò sarebbe, in fin dei conti, del tutto secondario rispetto ai motivi che hanno spinto i cittadini a votare in favore della Brexit.

Per il 52% dei votanti la decisione di abbandonare l’Ue significava rivendicare una sovranità nazionale, un’indipendenza ed un controllo sull’immigrazione tanto quanto abbandonare il modello economico dell’Ue; eventuali profitti sono dunque dei plus, non la base del ragionamento.

Come Münchau e anche altri sostengono, uno dei problemi fondamentali negli ultimi cinque anni è stato che molte delle previsioni sulla Brexit fossero sempre basate su presupposti instabili. Si trattava infatti di previsioni di economisti anti Brexit che hanno messo la politica davanti all’obiettività, o che si rifacevano a modelli economici che considerano quasi esclusivamente gli scambi commerciali nel lungo periodo ed ignorano invece altre aree di crescita, come quella informatica dei dati, un settore in rapida ascesa ed in cui il Regno Unito eccelle.

In breve, quando i futuri storici valuteranno il contributo degli economisti al dibattito sulla Brexit, il loro giudizio sarà inclemente, e quando scriveranno, il vero impatto della Brexit in Europa sarà ormai già sotto gli occhi di tutti.





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