In Giappone ci sono milioni di case vuote, dislocate per lo più nelle aree rurali, vendute dal governo a prezzi irrisori, mentre nelle grandi megalopoli il valore delle nuove aree residenziali continua a schizzare alle stelle.

In Corea del Sud i prezzi degli appartamenti nella capitale, Seoul, sono diminuiti di oltre il 20% lo scorso anno – il più grande calo mai registrato, più del doppio del crollo del 10% registrato nel 2008 durante la crisi finanziaria globale –  tanto che gli economisti temono che un continuo declino possa portare ad una grave crisi economica, nazionale e forse globale.

In Cina, dove il mercato immobiliare contribuisce a circa un quarto del pil ed è stato un freno alla crescita, soprattutto da quando Pechino ha represso l’elevata dipendenza dal debito degli sviluppatori nel 2020, il Fondo Monetario Internazionale ritiene che Pechino dovrebbe fare di più per risolvere i suoi problemi immobiliari, onde evitare che la crisi del real estate possa tornare a colpire.

A Singapore, intanto, i canoni di locazioni medi sono aumentati di circa il 30% nell’ultimo anno, superando i prezzi di Hong Kong.

Il settore immobiliare, lo stesso settore che nel recente passato ha consentito all’Asia di spiccare il volo, tiene adesso in apprensione l’intero continente, mostrando segnali contraddittori e facendo emergere problemi tanto diversi, da Paese a Paese, quanto delicatissimi.

Le cause che hanno generato un simile mosaico sono molteplici: troviamo problemi internazionali e nodi locali. Certo è che gli analisti seguono con attenzione cosa sta accadendo, soprattutto in Corea del Sud e Giappone, mentre i governi della regione cercano di gettare acqua sul fuoco. Nessuno, infatti, auspica l’esplosione di una bolla.  

Il dilemma immobiliare del Giappone

Il dilemma del Giappone è a dir poco particolare. Da un lato, Tokyo deve fare i conti con le akiya, termine indicato per contrassegnare le case rimaste vuote; dall’altro assiste ad un aumento incessante della costruzione di aree residenziali. Detto altrimenti, il mercato immobiliare giapponese non è affatto in linea con la realtà demografica del Paese, in continuo ed incessante calo, con le nascite annuali scese da 1,19 milioni nel 2000 al primo minimo storico di 810.000 nel 2021.

Per quanto riguarda le case vuote, i dati più recenti del governo, dall’indagine Housing and Land del 2018, riportano circa 8,5 milioni di akiya in tutto il Paese, circa il 14% del patrimonio abitativo complessivo. Il Nomura Research Institute stima invece il loro numero a oltre 11 milioni, con la previsione che le akiya potrebbero superare il 30% di tutte le case in Giappone da qui al 2033.

Il robusto stock di nuove residenze nipponiche, invece, è il risultato di una tendenza nella costruzione di case iniziata nel primo dopoguerra e che ha visto il Paese alimentare costantemente la sua offerta di abitazioni. Secondo l’indagine sugli alloggi e il territorio del 2018, un’indagine che il Ministero degli affari interni e delle comunicazioni (MIC) conduce ogni cinque anni, il numero di abitazioni della nazione superava del 16% il numero delle famiglie.

L’indice giapponese dei prezzi degli immobili residenziali mostra un costante aumento del valore dei condomini nuovi e usati dal 2013. Anche i prezzi delle nuove case sono aumentati vertiginosamente da aprile 2020, a causa di fattori come la carenza di lavoratori qualificati e legname, insieme all’aumento dei costi dei materiali. L’indice, che misura la percentuale delle variazioni di prezzo sulla base di varie fonti di dati, mostrava come, ad aprile 2022 e in relazione al 2010, i prezzi condominiali avessero raggiunto 180,3, ovvero 1,8 volte la mediana. 

Secondo i dati del Real Estate Economic Institute, il prezzo medio di un nuovo condominio per 70 metri quadrati nel 2021 è stato di 87,57 milioni di yen nel centro di Tokyo, 64,75 milioni di yen nell’area metropolitana circostante e 59,43 milioni di yen a Osaka. In generale, la domanda di abitazioni così costose è guidata da coppie ad alto reddito, che acquistano appartamenti in cui vivere, come investimento o per ridurre il carico fiscale di successione. Di conseguenza, diventa sempre più difficile per le famiglie medie e per gli individui più giovani acquistare abitazioni anche se il patrimonio abitativo del Giappone aumenta.

Insomma, mentre nelle megalopoli i prezzi sono impazziti, nelle aree rurali le abitazioni sono vendute a prezzo di saldo. Come ha sottolineato il New York Times, il valore delle case, in Giappone, in genere diminuisce nel tempo fino ad azzerarsi, con solo il terreno a conservare il valore. Lontani da Tokyo e dai grandi centri urbani, i proprietari si sentono poco incentivati ​​a mantenere una casa che invecchia e molti acquirenti spesso cercano di demolirle.

La Corea del Sud trattiene il fiato

E poi troviamo il caso, ben diverso, della Corea del Sud. A Seoul, una città di circa 10 milioni di abitanti, ci sono circa 2.600 persone che vivono in strada o in rifugi di fortuna. Allo stesso tempo, con appena 166.000 appartamenti a basso reddito di proprietà del governo disponibili, altre 320.000 vivono nascoste in forme di alloggio scadenti, come i banjiha – gli alloggi semisotterranei raccontati dal film Parasite – e i jjokbang.

Dopo la crisi finanziaria asiatica del 1997 , i jjokbang (“stanze a pezzi”), ovvero abitazioni singole divise illegalmente, sono diventati l’ultimo rifugio per i nuovi indigenti. Il Los Angeles Times ha scritto che per i proprietari queste strutture rappresentano un investimento redditizio che produce un flusso di cassa costante per spese generali molto ridotte. Per piede quadrato, i jjokbang superano addirittura alcuni degli affitti più costosi di Seoul.

Eppure i prezzi delle case, in Corea, continuano a scendere.  Sono diminuiti del 2% solo a dicembre, con il più grande calo mensile dal 2003 in poi. Il crollo è stato particolarmente brutale per gli appartamenti a Seoul, dove i prezzi sono diminuiti addirittura del 24% dal loro picco nell’ottobre 2021.

Il mercato della Corea del Sud, ha evidenziato l’Economist, offre un assaggio di ciò che potrebbe aspettarsi altrove. La Bank of Korea ( bok ) ha iniziato ad aumentare i tassi di interesse nell’agosto 2021, sette mesi prima della Federal Reserve e quasi un anno prima della Banca centrale europea.Il tasso di riferimento ora si trova al 3,5%, il massimo da 14 anni.

L’economia ha risentito il colpo. Il debito delle famiglie ha raggiunto il 206% del reddito disponibile nel 2021, ben al di sopra anche del 148% nella Gran Bretagna amante dei mutui. Si dà il caso, inoltre, che circa il 60% dei prestiti immobiliari sudcoreani siano a tasso variabile, a differenza dell’America, dove la maggior parte dei prestiti è a condizioni fisse. Di conseguenza, le finanze delle famiglie vengono ridotte più rapidamente quando i tassi salgono.

Questo rischio è accresciuto dal bizzarro sistema di affitto del paese, noto come jeonse . Molti inquilini pagano ingenti somme forfettarie ai proprietari, spesso il 60-80% del valore di un immobile, che vengono restituite dopo due anni. Nel frattempo il proprietario può investire il denaro come desidera. Con rischi per tutti. 

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