Il mondo del calcio europeo vive una crisi sistemica dopo che la pandemia di Covid-19 ha sconvolto l’industria globale del pallone. Mettendo i club e le federazioni di fronte a un’emorragia di entrate legata alle chiusure degli stadi, a un ampio dibattito sui metodi ideali di governance, infine a uno scontro sistemico generato dal tentativo dei club del gotha calcistico europeo di costituirsi in Superlega sfidando la Uefa e, in fin dei conti, anche le volontà dei governi nazionali di Francia, Regno Unito, Germania. Decisivi nel fermare una “fuga” dal tradizionale mondo calcistico veterocontinentale congegnata insieme ai fondi e i capitali provenienti da oltre Atlantico.

Una bolla in sgonfiamento? Il report Kpmg

Il calcio europeo vive una crisi legata alla contrazione delle entrate e alla difficile sostenibilità del giro d’affari di sponsorizzazioni, stipendi e spese costruito nell’ultimo decennio. La società di consulenza Kpmg ha sottolineato nel suo rapporto The European Elite 2021 che nell’ultimo biennio i 32 club europei con il valore maggiore hanno perso oltre 6,1 miliardi di euro nella loro valutazione, passando da 39,7 a 33,6 miliardi di euro.

Il valore d’impresa delle società è stato stimato da Kpmg con una somma algebrica tra il valore di mercato del capitale proprio (o patrimonio netto) più il totale dei debiti finanziari e meno la cassa. Il valore viene quindi calcolato a partire dai ricavi operativi, il fatturato, escludendo le plusvalenze da calciomercato

Lo Schalke 04, storica società tedesca di Gelsenkirchen appena retrocessa dalla Bundesliga, scende a 502 milioni di euro di valore e perde il 38%, risultando la squadra con la massima diminuzione nel valore complessivo del brand, dell’apparato sociale e della squadra tra quelle monitorate; subito dopo, in termini di calo, la Roma, che con un -33% si assesta a 405 milioni, mentre il Leicester campione d’Inghilterra 2016 con Claudio Ranieri al timone segna un -24% (424 milioni), completando il podio dei maggiori cali relativi di valutazione.

Anche in cima alla classifica Real Madrid e Barcellona, poco sotto i 3 miliardi e nelle prime posizioni del podio, conoscono decrementi in doppia cifra, mentre il Manchester United, terzo, perde il 20% pur rimanendo sopra i 2,5 miliardi di euro di valore. La Juventus perde il 15%, tocca un valore di 1,48 miliardi ma entra nella top ten per il calo dell’Arsenal (-20%, 1,45 miliardi). 

Il Covid riduce una corsa notevole della capitalizzazione del mondo del pallone europeo che ha portato, comunque, dal 2016 a oggi i 32 club monitorati ad aumentare il loro valore aggregato del 27%. La Juventus riflette questo andamento con una crescita del 51% del valore d’impresa dal 2016. L’Inter ha registrato la maggior crescita percentuale negli ultimi 5 anni (+120%, oggi vale 877 milioni), mentre il Milan è il club che ha subito la perdita più consistente nello stesso periodo, con un calo del 22% (oggi ha una valutazione di 427 milioni, meno del Napoli che invece viene valutato 485 milioni).

La crisi sistemica di liquidità del calcio europeo

La valutazione del brand non è tutto. Sempre più le società calcistiche si trovano di fronte a un’emorragia di ricavi sostanziale, che Kpmg per tutti i club delle 55 federazioni dell’Uefa stima compresa tra i 2,5 e i 2,7 miliardi di euro. Il deficit complessivo registrato da 80 club che hanno pubblicato i loro bilanci ha sfondato quota 2 miliardi di euro, battendo il record storico di 1,74 miliardi della stagione 2010-2011.

Il caso dell’austerità imposta agli ingaggi da Real Madrid e Barcellona e la crisi di liquidità dell’Inter fresca campione d’Italia, conclusasi nella formalizzazione del prestito avente in pegno la quota societaria in mano alla proprietà cinese con il fondo Oaktree e con l’avvio di una ristrutturazione degli ingaggi e del monte-spesa avviata con la separazione dal tecnico Antonio Conte, insegna molto. Il calcio è in sostanziale deficit d’ossigeno. E l’ad del club nerazzurro, Beppe Marotta, lo ha recentemente fatto notare in un convegno organizzato da Il Foglio, sottolineando che ““la Superlega è stata un atto di grande disperazione” dei club aderenti, Inter inclusa, a causa della “mancanza di sostenibilità del sistema. Sono i più esposti sul fronte dei costi e si sono accorti che dopo la pandemia l’indebitamento era aumentato a causa dei mancati introiti. C’è stato questo atto fatto non razionalmente ma ha lanciato un segnale, perché oggi il modello del calcio europeo non funziona. Devono intervenire le istituzioni per creare un modello sostenibile”.

Marotta non ha torto laddove segnala che il circolo virtuoso tra investimenti e ricavi fatica ad attivarsi nel mondo del calcio europeo. Al contempo, è nel governo del sistema-calcio che devono trovarsi le basi per garantire un’equa distribuzione dei ricavi, degli introiti pubblicitari, del business. Nella consapevolezza che un governo può permettersi di fare deficit per fini produttivi, creazione di posti di lavoro, generazione di sviluppo, un’impresa privata come una società di calcio, al contrario, deve guardare necessariamente al bilancio. E un modello estrattivo che subordina lo sport ai raid di capitali stranieri, all’effetto distorsivo di emiri, sceicchi, magnati, allo schiacciamento dell’elemento sportivo sull’entertainment alla lunga è problematico.

Il modello Atalanta e l’esempio del Bayern

Come risolvere il dilemma? Alcuni modelli di comportamento virtuoso ci sono. Nella classifica Kpmg ha fatto irruzione la nostra Atalanta, valutata 364 milioni di euro. Il club di Bergamo anche nell’anno della pandemia l’utile più alto dei 32 club europei dello studio Kpmg. Sono ben 52 milioni i profitti generati dal club nerazzurro nel pur complicato 2020, che ha contribuito a rafforzare l’entusiasmante momento vissuto dalla “Dea”. Il cui modello di business sportivo è all’insegna del radicamento territoriale attorno alla città di riferimento e della sostenibilità economica e imprenditoriale. I risultati conquistati sul campo e i montepremi accumulati con una squadra in larga misura formata o nel settore giovanile interno o con acquisti a basso costo si sommano alle plusvalenze di mercato che alimentano l’utile di bilancio. Per società di piccolo e medio blasone questo modello rappresenta un processo virtuoso che, se ben applicato, può essere una forza di valorizzazione e promozione dei territori, che dal possesso di un club nella massima serie di un campionato nazionale ottengono dividendi d’immagine e, in tempi ordinari, un sensibile indotto economico.

A livello di governance complessiva, a fare scuola è sempre il modello tedesco. Non è un caso che tra i pesi massimi del calcio europeo aderenti alla Superlega non figurasse il Bayern Monaco, club egemone del calcio germanico e dotato di una solidità di bilancio invidiabile nel mondo del calcio europeo, col 2020 che ha garantito al club utili per il ventottesimo anno di fila. Il Bayern ottiene questi risultati senza essere dotato alle spalle di una proprietà multimiliardaria, pur avendo tra gli azionisti di minoranza Allianz, Audi e Adidas. La sua proprietà è conforme al modello di gestione delle società tedesche, che sono guidate dalla “regola “50 + 1””, che impone ad esse di vedere la maggioranza assoluta delle quote detenute da organizzazioni di categoria dei soci di ogni club, dunque dai tifosi. Un modello ispirato alla mittelstand che domina la piccola e media impresa tedesca, permettendo ai lavoratori di partecipare degli utili delle loro società di riferimento, e che può generare un circolo virtuoso tra investimenti, sostenibilità delle operazioni e stabilità finanziaria.

Non a caso l’idea è stata riproposta nei giorni in cui si è palesata la crisi finanziaria dell’Inter dall’economista Carlo Cottarelli per la governance del club nerazzurro: “”L’idea dell’azionariato popolare l’abbiamo lanciata noi con Interspac, una società che ha avanzato l’idea di un azionariato diffuso, un modello che non vale solo per l’Inter ma anche per altre società: il vantaggio, ne vediamo ora l’evidenza, sarebbe quello di un capitale molto più stabile di quello estero che un giorno arriva e un altro va via”, ha fatto notare l’economista ad AdnKronos. La proprietà diffusa (modello Bayern) e il radicamento territoriale e identitario dei club (Atalanta) possono dare una traccia al futuro del mondo del pallone. Industria che deve adattarsi a un nuovo modo di fare business e forse superare la logica che voleva presentare come necessario il fatto di cavalcare una globalizzazione spinta e senza riferimenti nazionali. Il calcio e il suo business lo costruiscono le società e i tifosi, non i follower. E al valore del brand va associata una strategia manageriale efficace. Più della Superlega, è il realismo nella gestione dei club che può dare un futuro al calcio del Vecchio Continente.

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