La Banca centrale europea potrebbe stringere ulteriormente la curva di rientro dalla lunga fase di politiche espansive degli ultimi anni e procedere con un nuovo aumento dei tassi di interesse a settembre dopo la crescita estiva dello 0,5%. A giustificarle sarebbero le incertezze sulla ripresa dell’Eurozona, la possibilità che l’Unione Europea cada in recessione di fronte a una recrudescenza della guerra energetica con la Russia, la volontà di non limitarsi ad andare a ruota della Federal Reserve americana che proprio un anno fa ha iniziato la normalizzazione monetaria.
Il Bollettino economico rilasciato dall’Eurotower ad inizio agosto apre a questa possibilità. L’idea di un rallentamento della crescita europea di fronte alle incertezze globali rafforza la possibilità che le prossime mosse “guidate dai dati”, come la Bce intende fare ai sensi di quanto detto il 21 luglio scorso dopo l’ultima plenaria, portino con sé nuove strette sui tassi. Per fermare un’inflazione all’8% e rafforzare la volontà di normalizzare la politica monetaria la Bce, notano diversi analisti, è pronta a portare i tassi allo 0,75%.
La presa di posizione della Germania a favore di una nuova stretta rafforza questa prospettiva. “Vista l’alta inflazione, ulteriori aumenti dei tassi di interesse dovranno seguire”, ha affermato il presidente della Bundesbank Joachim Nagel nelle scorse settimane parlando con la Rheinische Post. L’attenzione della Germania è tutta sulla possibilità che l’inflazione energetica possa travolgere l’economia nazionale unitamente ai rischi connessi alla possibile frenata delle forniture dalla Russia. “La decisione sui tassi di interesse sarà presa alla prossima riunione del Board Bce, in programma per l’8 settembre”, nota Il Sole 24 Ore, “ma il rappresentante tedesco, considerato uno dei falchi, non ha voluto fornire indicazioni sull’entità dell’aumento che ritiene necessario”. Anche importanti dirigenti bancari come l’ad di Mediobanca Alberto Nagel hanno consigliato all’Eurotower una linea decisamente prudente.
La scelta di ulteriori strette monetarie da parte della Bce avrebbe conseguenze importanti su almeno tre fronti.
Il primo è quello della ripresa economica europea e dei piani di rilancio contro la crisi energetica in atto. Si delineerebbe una strategia di risposta alle crisi essenzialmente orientato sul piano monetario che mirerebbe a ridurre il peso dei fondamentali connessi al costo del denaro sul carovita e i problemi collegati. Togliendo, di conseguenza, spazio a una politica fiscale ritenuta da Christine Lagarde e gli altri leader della Bce eccessivamente messa sotto stress nell’ultimo biennio.
Il secondo fronte è quello dell’attività bancaria. L’aumento del costo del denaro punta a rendere più dinamica l’attività di creazione di margini da parte degli istituti, risolvendone l’anemia di redditività, e a facilitare il circolo del credito verso l’economia reale. Certo, nota una recente pubblicazione della Bce firmata dagli economisti Ursel Baumann, Christophe Kamps e Manfred Kremer, “sebbene il contesto economico fornisca un parametro fondamentale per l’orientamento della politica monetaria, le decisioni assunte riunione per riunione richiederanno un giudizio notevole per la valutazione delle ultime informazioni congiunturali e la determinazione della velocità di adeguamento della politica monetaria” a possibili shock. Una rapida caduta in recessione dell’Ue fermerebbe in quest’ottica ogni spirale rialzista dei tassi per evitare l’errore del 2011, quando il combinato disposto tra tassi alti e recessione causò un blocco del circuito del credito su scala europea. In quest’ottica, il rincaro dei tassi porterà nel breve periodo anche a un aumento del costo di mutui e affitti, soprattutto quelli a quota variabile, che potrebbe causare come esternalità una ricaduta su mercati strategici quale quello immobiliare.
Ultima partita è quella della difesa dell’euro e della sua credibilità come importante valuta di riserva. Lagarde vuole ridare alla Bce centralità nel dettare i tempi alle altre banche centrali sul piano di rientro dalla politica dei tassi a zero, aumentando di conseguenza la fiducia verso la moneta unica come riserva di valore e valuta di un continente capace di governare in forma responsabile l’economia. Il silenzio dei vertici Bce di queste settimane segnala che qualcosa bolle in pentola. Ma il dibattito a livello di board è decisamente acceso. L’italiano Fabio Panetta, membro del direttivo Bce, si è detto dubbioso su un repentino aumento dei tassi, considerando la frenata che l’economia sta subendo. In quest’ottica, un passaggio fondamentale per lenire queste preoccupazioni sarà una concreta definizione dello Scudo anti-spread (Tpi) e delle sue prospettive di applicazione a shock asimmetrici in caso in cui determinate economie venissero penalizzate da aumenti repentini dei tassi. Paesi esportatori fortemente esposti ai cambi, peraltro anche ad alto indebitamento, come l’Italia sono un possibile anello debole di fronte a queste politiche. Ci vorrà tutta la saggezza del caso per evitare che i rincari dei tassi creino un’Europa a più velocità. Quanto di meno desiderabile in un Vecchio Continente che assaggia i danni del conflitto ucraino mentre ancora visibili sono le ferite del Covid.