L’eredità più importante della crisi pandemica del 2020 rischia di essere, sul fronte economico, una montagna di debiti, con la differenza che il grande cigno nero della pandemia ha mostrato davanti agli occhi di tutti quanto la sostenibilità del debito pubblico, in fasi emergenziali, debba essere considerata una problematica secondaria rispetto alla tenuta del debito privato. Come del resto il lungo “decennio del debito” seguito alla Grande Recessione aveva già dimostrato.

E l’anno della pandemia ha portato i governi di tutta Europa a dover esporsi in maniera notevole garantendo prestiti di medio lungo termine necessari a garantire alle imprese l’operatività, aiuti a fondo perduto che si sommano a garanzie pubbliche sull’operato bancario a fianco del tessuto imprenditoriale e a sussidi di varia natura. In Italia abbiamo visto il super-lavoro, in tal senso, di Sace e del sistema delle banche nazionali e territoriali.

Nel solo contesto italiano, a settembre avevano raggiunto quota quota 83 miliardi di euro le richieste di garanzia per i nuovi finanziamenti bancari per le Pmi presentati all’apposito Fondo di Garanzia. Inoltre, attraverso ‘Garanzia Italia’ di Sace sono state concesse garanzie per 13,5 miliardi di euro, su 576 richieste ricevute. Alle spalle di tutto ciò, la garanzia sui bassi tassi di questi prestiti è stata la politica monetaria della Bce, che con l’intervento anti-pandemia ha garantito un paracadute e un’assicurazione sulla vita all’indebitamento pubblico dei Paesi europei e, di converso, al loro sostegno alle garanzie sui prestiti privati. A cui si è aggiunta una grande quantità di prestiti emergenziali erogata privatamente dagli istituti, su una scala tale da esser difficile da quantificare ma che in Italia non è illogico stiamare a diverse decine di miliardi di euro.

Nei prossimi anni, le banche dovranno, soprattutto sul fronte dei prestiti non garantiti, controllare con attenzione che questi crediti non si traducano in una nuova inflazione del fardello di crediti deteriorati. Con conseguente rilancio delle sofferenze bancarie, della sfiducia sistemica e del rischio di una stretta ai prestiti generalizzata capace di bloccare la ripresa dell’economia europea. I tassi bassissimi, inoltre, hanno ridotto notevolmente le prospettive di guadagno degli istituti, come ha recentemente sottolineato il Financial Times.

Questo ha portato la vigilanza bancaria Bce guidata da Andrea Enria a iniziare a muoversi per evitare che queste problematiche lasciate in eredità dalla pandemia minino la stabilità finanziaria dell’Europa. Un’ondata di default delle imprese beneficiarie dei prestiti, specie alla base della piramide, sarebbe davvero insostenibile. Le banche della zona euro stanno, secondo quanto recentemente dichiarato dall’Eurotower in una lettera aperta firmata da Enria, chiudendo spesso un occhio sull’ondata di prestiti deteriorati e devono iniziare ad agire e riconoscere i crediti dubbi tra quelli erogati durante la crisi e quelli precedentemente esistenti. Questa necessità è stata esplicitata sul “The Supervision Blog”, spazio concesso per analisi e opinioni personali ai dirigenti della vigilanza bancaria di Francoforte, da Elizabeth McCaul, membro del board di vigilanza bancario, secondo cui “molte banche non sono abbastanza impegnate nell’identificazione di segni specifici per i debitori riguardanti l’improbabilità di un rimborso, al di là delle mere difficoltà finanziarie temporanee causate dalla pandemia”.

Enria ritiene che sia giunta l’ora di mettere in ordine e sistematizzare, rendendola più flessibile e meno automatica, la corsa delle banche in sostegno alle imprese colpite. La richiesta dell’italiano che guida la vigilanza bancaria della Bce alle banche è di trovare “tempestivamente soluzioni adeguate per i debitori in sofferenza, così da contenere l’accumulo di attivi problematici” nei rispettivi bilanci. E il suo istituto ha iniziato a mettere dei paletti per indirizzare l’operato delle banche europee. Da un lato, incentivando esplicitamente i processi di fusione e consolidamento tra banche che riduce l’esposizione creditoria degli istituti più fragili, dall’altro ordinando il processo di moratoria sui prestiti concessi.

Esso, che consente alle banche di non dover accantonare risorse in cambio delle moratorie concesse a soggetti colpiti dalla pandemia, è stato recentemente esteso fino al marzo 2021, ma con dei limiti, che Teleborsa riporta: “Solo i prestiti sospesi, posticipati o ridotti in base a moratorie non superiori a 9 mesi complessivi, comprese le moratorie precedentemente concesse, possono beneficiare dell’applicazione delle linee guida. Inoltre, gli enti creditizi sono tenuti a documentare alla autorità di vigilanza se i prestiti soggetti a moratoria potrebbero essere inadempienti”.

Molto dipenderà, in ogni caso, dal prosieguo del sostegno monetario Bce. Che oramai è diventato il grande equalizzatore finanziario, la garanzia di fondo sulla sostenibilità dei debiti indipendentemente dall’andamento dell’economia reale. Un grande “metadone” che ha coperto anche l’accumularsi di passività legate a scommesse finanziarie, buyback azionari e pratiche slegate dall’economia reale. Le banche europee possono monitorare, ma in questo contesto possono agire soprattutto rendendosi più solide patrimonialmente e strutturalmente. Il controllo dei prestiti non è centralizzato sotto la loro regia e sul lungo periodo forse è proprio questo il fattore che rischia di accelerare un aumento della mole di prestiti a rischio di deteriorarsi. Dietro cui gli Stati potrebbero dover intervenire, in caso di default massicci, portando all’ennesimo caso di privatizzazione delle perdite di questo secolo.

 





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