Le Nazioni Unite hanno recentemente pubblicato l’edizione 2021 del Rapporto sugli investimenti mondiali (World Investment Report), ed il Kazakistan ivi figura nell’elenco di quei (pochi) Paesi che, nonostante la pandemia, hanno continuato ad attrarre ingenti flussi di capitale dal resto del mondo. Un traguardo che per la dirigenza kazaka può avere un solo significato: le riforme funzionano, crescita e attrattività sono sul punto di divenire autoalimentanti.
I numeri e i fatti, raccolti dagli analisti del Palazzo di vetro, parlano di un Kazakistan in via di sviluppo, che, contrariamente agli altri –stan, riesce a risultare incredibilmente attraente agli occhi degli investitori internazionali. Un’attrattività che gli ha permesso di essere, insieme a Montenegro e Bielorussia, uno dei tre Paesi in via di sviluppo che hanno concluso il 2020 sperimentando un incremento degli investimenti diretti esteri in entrata.
Quello del Kazakistan, comunque, è stato un record nel record. All’interno di quella mini-classifica a tre, invero, la nazione centroasiatica figura in prima posizione – il 35% di investimenti diretti esteri in più rispetto al 2019 –, seguita a distanza ravvicinata dal Montenegro (27%) e a lunga distanza dalla Bielorussia (8%).
Rapporto sugli investimenti mondiali a parte, che il Kazakistan sia la locomotiva dell’Asia centrale lo confermano anche l’Heritage Foundation – 34esimo per libertà economica (2021) –, la Banca Mondiale – 25esimo clima d’investimento migliore del pianeta (2020) – e le cifre relative alla povertà assoluta (sconfitta nel 2009), alla disoccupazione (4,9%), al prodotto interno lordo (cresciuto di sedici volte dal 1991 ad oggi) e al magnetismo economico-finanziario (è la destinazione di circa il 70% di tutti gli investimenti diretti esteri nella regione). E per capire le origini e le ragioni del successo kazako siamo andati direttamente a Nur-Sultan, dove abbiamo incontrato e intervistato Baurzhan Bektemirov, il capo economista dell’Astana International Financial Center.
Dottor Bektemirov, l’Italia è il secondo partner commerciale del Kazakistan, superata per volume complessivo dell’import-export soltanto dalla Russia. Potrebbe fornirci una panoramica generale dei rapporti economici tra Italia e Kazakistan? Quali sono i settori dove è maggiore la collaborazione? E quali quelli in cui si potrebbe fare di meglio?
Io sono dell’idea che il settore agricolo kazako stia diventando sempre più importante. È vero che da vent’anni esportiamo principalmente petrolio, lo sanno tutti, ma non è sempre stato così: durante l’epoca sovietica la nostra economia era diversificata. La decisione di concentrarci sull’esportazione di prodotti petroliferi, così da guadagnare più capitale finanziario, venne dopo, con l’indipendenza. E questa decisione è stata importante: adesso, infatti, abbiamo un nostro fondo nazionale (ndr. Kazakhstan National Fund) di circa sessanta miliardi di dollari, che è uno strumento in più sia per il governo sia per l’economia.
Tornando all’agricoltura, credo che dovrebbe essere uno dei settori di collaborazione tra noi, l’Italia e l’Unione Europea. Abbiamo tutto per sviluppare questo settore, soprattutto le terre, però ci mancano la tecnologia e gli investimenti. E l’Italia, oltre alla tecnologia, ha anche il know-how. Abbiamo discusso tante volte con gli ex ambasciatori Pasquale D’Avino e Stefano Ravagnan di portare qui la Barilla. Perché abbiamo del grano duro di qualità superiore a quella che si può trovare nel resto della regione ed in Russia; è un materiale con il quale si potrebbe fare qualcosa.
E poi c’è il turismo, un altro settore che desideriamo sviluppare. Abbiamo dei posti bellissimi, ma mancano le infrastrutture, e quelle che ci sono vanno migliorate. Qui vicino a Nur-Sultan, ad esempio, c’è un bellissimo lago popolato da fenicotteri rosa, ma per raggiungerlo occorrono le jeep. E poi, una volta arrivati, mancano comunque gli alberghi e le altre infrastrutture. Non è un problema: le infrastrutture si costruiscono e pian piano le stiamo sviluppando. L’anno scorso, ad esempio, con l’aiuto del Centro finanziario in cui lavoro e del Fondo di sviluppo degli investimenti, abbiamo costruito due nuovi alberghi a cinque stelle. Alberghi che l’anno scorso, quando era tutto chiuso a causa della pandemia, sono diventati delle destinazioni per il turismo locale. Con l’aiuto e con l’esperienza dei nostri partner italiani, comunque, la situazione potrebbe migliorare.
Per quanto riguarda i servizi finanziari, abbiamo avuto un’esperienza non molto positiva alcuni anni fa, quando c’era l’Unicredit – che alla fine è uscita –, ma oggi stiamo parlando di nuovo. Stiamo parlando con Intesa San Paolo e altre banche ai fini del ripristino della collaborazione. Perché vogliamo trasformare Nur-Sultan nella porta degli investimenti nelle regioni Asia centrale, Russia e Caucaso meridionale. Le opportunità sono tante – non solo grano duro e turismo –, dato che c’è anche l’estrazione mineraria. Un settore dove Italia e Kazakistan già collaborano, visto che operano l’Eni ed altre grandi imprese.
Il Kazakistan, da diversi anni ormai, figura nelle prime posizioni delle classifiche stilate da Banca Mondiale, Heritage Foundation ed altre realtà in materia di clima degli investimenti, tassazione, libertà economica, burocrazia digitale et similia. Ha persino superato alcuni Paesi dell’Unione Europea per quanto riguarda l’uguaglianza di genere, cosa che tiene in considerazione, tra l’altro, la percentuale di donne nel mercato del lavoro. Volevo chiederle, dunque, come è stato possibile arrivare a questo punto? Cos’ha avuto e/o cos’ha fatto il Kazakistan rispetto agli altri –stan, essendo partiti tutti dalla stessa situazione?
Sì, è vero, trent’anni fa partimmo tutti dalla stessa situazione. Noi, però, abbiamo cominciare a fare riforme dal primo anno. Già nel 1993 la prima generazione di politici aveva costituito delle nuove istituzioni e degli enti che hanno avuto la visione di spostare la gestione degli asset più importanti dal governo alle corporazioni e alle società per azioni. Abbiamo dato importanza agli amministratori delegati, ai consigli di amministrazione. Cose che abbiamo fatto più di vent’anni fa e che ci hanno permesso di svilupparci più degli altri –stan. Se parliamo di doing business, poi, ci aiutano molto l’essere giovani e l’essere un Paese in via di sviluppo. Due cose che facilitano il cambiamento, la gestione degli affari, delle istituzioni e del debito. Secondo me, comunque, possiamo fare ancora di più, come hanno mostrato le riforme dell’anno scorso.
Se parliamo di gender gap, invece, questo non è mai stato un problema in Kazakistan, soprattutto durante l’epoca sovietica. Questo è il motivo per cui non è un problema nemmeno oggi. C’è da migliorare per quanto riguarda la percentuale di donne nei consigli di amministrazione – il nostro presidente vorrebbe aumentare la loro presenza al 30%, credo lo abbia detto lo scorso anno. La differenza tra noi e gli altri –stan è che, prendiamo l’esempio dell’Uzbekistan: hanno fatto un grandissimo lavoro negli ultimi quattro-cinque anni, ma sono come il Kazakistan quindici anni fa. Loro stanno facendo adesso ciò che noi abbiamo fatto quindici-venti anni fa. Mentre occorrono visione e prontezza nel fare riforme, perché cambiare tutto non è facile.
E c’è da dire, poi, che mentre noi abbiamo effettuato la transizione ad un’economia di mercato trent’anni fa, alcuni –stan lo hanno fatto limitamente ed altri non lo hanno fatto proprio – il Turkmenistan, ad esempio, è ancora molto chiuso. Infine, un’arma in più per noi, forse, è stato l’asset del petrolio. Abbiamo potuto fare le riforme, ed altre cose, perché abbiamo avuto il vantaggio dei soldi del petrolio.
Nel 2014 scoppia ufficialmente la guerra fredda tra Stati Uniti e Russia. Nel 2016, con l’ingresso di Trump alla Casa Bianca, il conflitto si estende alla Cina. Una guerra fredda a tre che, fra le varie cose, ha comportato la riaccensione del Grande Gioco in Asia centrale. Il Grande Gioco 2.0 interessa direttamente il Kazakistan, dato che un numero crescente di attori statali ha cominciato ad investire qui in funzione anticinese e antirussa. È lecito affermare, in sintesi, che il riavvio del Grande Gioco ha beneficiato il Kazakistan?
La mia visione, che è quella di un economista, è positiva. Quando scoppia un conflitto si ha bisogno di partner che non siano in guerra, che siano stabili, perché il business vuole continuare. Prendiamo il caso di Russia e Stati Uniti: tra loro, adesso, i legami non sono molto positivi, ma il business è ancora lì, è attivo, nonostante la politica li divida. Il fatto di lavorare con il Common Law inglese ci ha facilitato e ci facilita molto, specie nel rapporto con gli Stati Uniti. E da questo conflitto, posso dirlo da economista, ne stiamo beneficiando. Stiamo diventando un approdo sicuro in cui poter lavorare, dove gli investimenti vengono garantiti e protetti. Perché se c’è una guerra tra due Paesi, noi siamo in grado di lavorare con entrambi; un po’ come la Svizzera o Singapore. Gli Stati Uniti hanno investito e costruito basi militari in molti Paesi, ma in Kazakistan non l’hanno fatto. Perché? Perché capiscono che parlare di basi militari, qui, sarebbe molto difficile. Capiscono che ci sono anche i russi e i cinesi. Perciò il nostro rapporto con l’America, con gli Stati Uniti, è più economico che politico: investimenti, fondi di sviluppo, eccetera.
Il Grande Gioco ha avuto e sta avendo delle ricadute positive sull’economia kazaka. Ora, però, davanti a noi si trova un altro gioco, molto più complesso e caotico: quello afghano. Crede che gli accadimenti in Afghanistan possano rivelarsi esiziali per l’attrazione di investimenti esteri in Kazakistan, determinandone una diminuzione da qui al lungo periodo?
La nostra situazione potrebbe migliorare ulteriormente per via della crisi afghana. Noi siamo un Paese sicuro, politicamente stabile e siamo lontani dall’Afghanistan, con il quale non abbiamo confini. Ci sono, ovviamente, dei rischi generali legati alla sicurezza, ma riguardano l’intera regione. Io non credo che la crisi afghana avrà degli effettivi negativi sull’attrazione di investimenti. O meglio: per coloro che già ci conoscono, che già investivano qui, questa crisi potrebbe convincerli a voler lavorare di più con noi. Per quanto riguarda gli investimenti potenziali che sarebbero potuti provenire da nuovi investitori, ecco, non saprei, quello è da stabilire. Ma se parliamo di investitori conosciuti e tradizionali, questi eventi rappresentano una ragione ulteriore per lavorare più con noi che con gli altri, perché non confiniamo con l’Afghanistan.
Ricollegandoci alle precedenti domande, dalla crisi afghana al Grande Gioco, passando per il peculiare orientamento al riformismo che ha caratterizzato il Kazakistan sin dalle prime fasi dell’indipendenza, come vede il futuro economico del Kazakistan? E cosa direbbe a dei potenziali investitori stranieri?
Il futuro lo vedo stabile. Il governo del Kazakistan ha il desiderio e la prontezza di far girare l’economia. Quello che ci serve sono gli investimenti, il capitale umano, l’expertise. Abbiamo bisogno di esperti stranieri che sappiano fare. Abbiamo bisogno di attrarre tecnologie. E vogliamo lavorare con dei partner che non vengano solamente ad investire – perché se si parla di soldi, il Kazakistan è ricco, abbiamo il nostro Fondo petrolifero –, ma che vogliano guadagnare insieme a noi e che vogliano insegnarci. Perché vogliamo imparare da loro: per noi il trasferimento di conoscenza è più importante del denaro e della tecnologia. Parlando di agricoltura, ad esempio, noi abbiamo i soldi. Ma vogliamo capire come investirli e gestirli, come adoperare la tecnologia. È per questo che vogliamo lavorare con l’Italia, con l’Argentina ed altri Paesi del genere, nell’agricoltura come in altri settori. E sono sicuro che il governo vede molto positivamente tutti quegli investitori che vengono qui ad investire in nuovi settori – che non siano il petrolio e l’estrazione mineraria –, come il turismo e i servizi finanziari. E noi stiamo lavorando per questo. La politica di attrazione degli investimenti è cambiata negli ultimi due anni. Il nostro primo ministro, ad esempio, ha creato un gruppo di esperti, con il Ministero degli Esteri e l’Agenzia di Investimenti del Kazakistan, per coordinare quelle aziende che vengono qui ad investire. E abbiamo creato un programma per diluire gli investimenti nelle varie regioni del Kazakistan, per svilupparle.
La mia risposta, perciò, è si: le prospettive sono positive e rosee. Il riformismo andrà avanti. Non nascondo che ci saranno sempre dei rischi e degli ostacoli, del resto dobbiamo migliorare, c’è tanto da migliorare, perché siamo ancora un Paese in via di sviluppo, ma c’è la prontezza, c’è l’apertura e c’è la felicità di lavorare con gli altri Paesi.