Boris Johnson ha conquistato la vittoria alle elezioni generali britanniche di dicembre sulla scia dello sfondamento nelle roccaforti laburiste della working class e intende consolidare la nuova base elettorale conservatrice dedicando alle politiche del lavoro le prime riforme del suo nuovo esecutivo.

Sarà infatti l’aumento del salario minimo il piatto forte delle prime politiche economiche del governo Johnson II. Primo esecutivo in cui il leader conservatore può dettare con forza l’agenda politica, forte di un partito nuovamente compatto attorno all’agenda di governo. Si intende cominciare a guardare alla Gran Bretagna post-Brexit e se sul piano mediatico e politico a tenere banco sono le discussioni sul posizionamento internazionale di Londra, nuovo attore autonomo nel mondo multipolare, nel concreto Johnson non deve dimenticare che le problematiche economiche e le disuguaglianze reddituali e di opportunità resteranno tali a prescindere dall’uscita dall’Unione.

L’aumento del salario minimo che sarà operativo dal primo giorno di aprile porta dunque la politica britannica in una prospettiva post-Brexit. Come ha annunciato il 31 dicembre scorso il governo britannico, l’impegno è di portare il salario minimo al 60% del reddito medio. Quello di Johnson, sottolinea Il Messaggero, è l’aumento del salario minimo più grande mai applicato nella storia britannica.

“Il governo britannico aumenterà il salario minimo del 6,2% a partire dal 1° aprile, una misura che andrà a beneficio di 2,8 milioni di persone e comporterà un aumento salariale fino a 930 sterline (1.093 euro) all’anno per un lavoratore a tempo pieno. L’aumento del 6,2% del salario minimo, fino a 8,72 sterline (10,24 euro) all’ora”, va nella direzione della risoluzione della principale problematica registrata dall’economia britannica negli ultimi anni, ovvero l’asimmetria tra la crescita dell’economia e la ridotta espansione salariale conosciuta dal Paese negli ultimi anni anche in un contesto di crescita occupazionale.

Il nuovo aumento salariale batterà di circa quattro volte il livello dell’inflazione, a fronte di una crescita dei salari reali che a lungo si era attestata sotto l’1%. Il governo Johnson batte anche le critiche che erano insorte in occasione del discorso della Regina per l’inaugurazione del Parlamento, in cui il programma conservatore era stato accusato di voler subordinare a fumose prospettive di ordine economico l’aumento salariale. Il Cancelliere dello Scacchiere Savid Javid, referente del programma economico dell’esecutivo, ha inoltre annunciato di voler superare la soglia del salario minimo gradualmente fino a raggiungere le 10,50 sterline all’ora nel 2024.

Ora la Gran Bretagna aspetta le prossime iniziative di politica economica dell’esecutivo. Johnson aveva fissato nell’aumento dei fondi per il servizio sanitario nazionale e nel recupero delle aree deindustrializzate del Nord, nuova roccaforte Tory, attraverso piani regolatori ed economici due fronti importanti. Quel che è certo è che gli errori connessi all’eccessivo rigore pro-austerità dei governi Cameron e May non sono stati, nelle prime battute, ripetuti dall’esecutivo. Convinto della necessità di arrivare alla Brexit alla guida di un Paese coeso, come un governo one Nation. Resta l’enigma del lungo periodo: come riuscirà Londra a riportare occupazione stabile nella manifattura e nei servizi riducendo la sua dipendenza dalla finanza? Per ora la soluzione a questa domanda non è ancora stata trovata, ma certamente il lavoro nel Regno Unito sarà da aprile più appetibile grazie alla sterzata verso l’alto imposta alle condizioni retributive.