Donald Trump ha un motivo in più per sorridere. Il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti è tornato, per la prima volta dallo scoppio della pandemia, sotto quota dieci per cento passando dal 10.2 per cento di agosto all’8.4 per cento odierno. Nel mese di agosto, come testimoniato dai dati forniti dal Bureau of Labor Statistics, sono stati creati 1.4 milioni di nuovi posti di lavoro. Numeri incoraggianti che indicano un inizio di ripresa anche se, prima dell’emergenza sanitaria, il tasso di disoccupazione era sceso fino a toccare quota 3.5 per cento, ai minimi degli ultimi cinquant’anni. Dan North, economista senior presso la Dan Heuler North America, ha spiegato che ” negli ultimi tre mesi sono stati creati molti nuovi posti di lavoro sebbene il loro numero complessivo sia meno della metà di quelli persi tra marzo ed aprile (22 milioni)”.

Un quadro in chiaroscuro

Jason Furman, che ha presieduto la White House Council of Economic Advisors durante l’amministrazione Obama, ha affermato che “un tasso di disoccupazione dell’8.4 per cento è molto più basso di quanto ci si sarebbe aspettati alcuni mesi fa. La recessione è significativa ma non senza precedenti storici (come si temeva) o paragonabile a quella della Grande Depressione”. I segnali di ripresa sono evidenti in diversi comparti: il settore edile, ad esempio, è a poco meno di mezzo milione dal livello di posti di lavoro nel periodo pre-pandemico. Si tratta dei primi dati chiari sullo stato di salute dell’economia proprio nel periodo in cui decresce il supporto federale, come i 600 dollari settimanali supplementari alle indennità di disoccupazione che hanno aiutato molte famiglie nel corso della crisi. Gli economisti ritengono che senza questa misura, scaduta alla fine di luglio, milioni di famiglie avranno difficoltà nel pagare gli affitti e nell’acquistare cibo. Non mancano, però, altre cattive notizie. Il mercato del lavoro ha infatti mostrato alcuni segnali di debolezza: il numero di lavoratori che ha perso in via definitiva la propria occupazione è cresciuto di 534mila unità ad agosto dopo essere rimasto costante a luglio. Questo dato segnala un danno nel lungo termine per l’economia.

L’analisi degli esperti

Lo stato di salute dell’economia è una delle principali preoccupazioni degli elettori americani. L’American National Election Studies, che conduce inchieste in ambito elettorale dal 1948, chiede regolarmente ai votanti quale sia la più grande problematica che il Paese deve affrontare. Spesso l’economia si piazza ai primi posti: 42 per cento nel 2008, in piena crisi economica, 32 per cento nel 2012, 11 per cento nel 2016 e tra il 20 ed il 33 per cento nel 2020.  Secondo l’American National Election Studies la preoccupazione per l’economia è legata al livello di reddito familiare, è maggiore nelle famiglie in cui il reddito complessivo è superiore ai 100mila dollari l’anno, più alta tra chi possiede una laurea, tra i bianchi e gli ispanici e tra gli elettori dei Repubblicani.

La sfida elettorale

L’appuntamento elettorale del 3 novembre è sempre più vicino e gli aggregatori di sondaggi vedono in testa, di alcuni punti percentuali, Joe Biden. Lo scenario, però, è tutt’altro che definito e molte cose possono ancora cambiare. In primis c’è la corsa al vaccino anti Covid-19 che potrebbe essere in dirittura d’arrivo e che potrebbe rivelarsi un vero e proprio asso nella manica. In seconda battuta c’è la debolezza strutturale di Joe Biden, percepito come un candidato poco carismatico e forse non la scelta migliore che il Partito Democratico poteva compiere. Infine c’è l’economia. Il presidente ha legato la sua rielezione ad una forte ripresa economica degli Stati Uniti e questo è un ambito in cui gli elettori promuovono Trump a differenza di quanto accade per la risposta data al coronavirus e per la gestione delle tensioni razziali.

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